Il nuovo album dei San Fermin. Ovvero, l’opera quinta dal (solito) retrogusto chamber-pop partorita dalla mente (e dal genio) di Ellis Ludwig-Leone. Un artista. Un visionario. Poco da dire. Come definireste, altrimenti, uno che dopo essersi laureato in quel di Yale, dieci anni or sono, ha dato vita ad un progetto così dannatamente articolato?
“Arms”, infatti, è il frutto di cinque, intensi anni di lavoro, dove il collettivo di Brooklyn attraverso giri di piano in salsa “swing” e melodie piuttosto malinconiche, ha provato a discostarsi (un tantino) dal precedente (precedenti, in verità), “The Cormorant I & II”. Operazione, va detto, che ai nostri è riuscita solo in (minima) parte.
Va da sé, naturalmente, che pur non disprezzando i favori di pubblico e critica, ciò che ha sempre interessato il buon Ludwig-Leone, è la composizione fine a sé stessa, altro che mainstream e fanfare varie. “Arms”, ad ogni modo, è un lavoro schietto, onesto, senza fronzoli. Provando a fare un po’ le pulci, banalmente, potremmo dire che si tratta di un lavoro a cui manca quel pizzico di mordente in più che spesso fa la differenza. Epperò, se non tutte le ciambelle riescono col buco, alcune di esse riescono comunque a distinguersi dalle altre.
La title-track, per esempio, è puro (indie)pop da camera, ma con un incedere cinematografico che non guasterebbe in una qualche colonna sonora di annata. Il pezzo che apre le danze, invece, “Weird Environment”, possiede uno dei ritornelli più incisivi del lotto, che si va ad infilare nella mente di chi ascolta come pioggia che batte su una tettoia. La poetica spicciola – ma sofisticata – dei San Fermin, del resto, è una delle peculiarità più attraenti del gruppo americano.
Ed in tal senso, “Didn’t Want You To”, la risposta oltremodo sarcastica del buon Ellis ad alcune relazioni finite male, appare come una delle tracce più luccicanti dell’album. Merito pure dell’ottimo lavoro svolto in fase di produzione dal vecchio Allen Tate, fido collaboratore (e producer) di Ludwig-Leone (nonché il deus ex machina dell’intero progetto) e dell’ottima vocalità espressa dalla singer, Claire Wellin. Se durante la lavorazione di questo “Arms”, Ellis ha indicato negli ascolti ripetuti dei vecchi dischi di Paul Simon la fonte di ispirazione primaria, “Wasting On Me” ne rappresenta la più fervida testimonianza. Il refrain delicato del pezzo in questione, infatti, si affaccia – quasi spudoratamente – dalle parti di quel capolavoro che risponde al nome di “Graceland”.
Come accennato qualche riga più su, dunque, “Arms” non è uno di quei disconi che fanno gridare al miracolo. Va anche evidenziato, per amor di verità, che non si tratta nemmeno di una “ciofeca” bella e buona. In medio stat virtus, dicevano i latini. Ed allora, la quinta fatica discografica della formazione newyorkese, va presa così com’è: come la monotona istantanea di un attimo un po’ troppo simile al tempo che fu.
In parole povere, chiamasi album di transizione.