Ritornano dopo tantissimi anni i La Crus di Mauro Giovanardi e Cesare Malfatti, sicuramente un nome importantissimo della generazione alternativa degli anni novanta, quella che sfornava dischi di grande valore a ripetizione; si può tranquillamente dire che sia stata, oggettivamente, una stagione fondamentale per la musica italiana in generale.
L’ensemble milanese ha dato il suo notevole contributo, rinfrescando un certo songwriting d’autore, con suoni moderni di quel periodo, un piglio elettro di fondo e canzoni di qualità, direi che “Dietro la curva del cuore”, a mio parere, la loro raccolta migliore, rimanga una dei titoli fondamentali per capire quel periodo, ma soprattutto un disco da ascoltare sempre con piacere.
Detto questo, i due co titolari del progetto hanno continuato a fare musica su binari separati, ma le divergenze di allora non hanno permesso questa sorta di reunion, di per sé auspicata per chi ama un certo tipo di musica, lontanissima probabilmente dalla sonorità odierne, ma come dire le cose cambiano, a volte anche nella direzione giusta, quindi i La Crus tornano ufficialmente sul mercato con un nuovo album.
Piccolo preambolo a questa pubblicazione, la sesta in bacheca, sono due brani già licenziati, la stupenda “Come ogni volta”, canzone principe del sophomore “Dentro me”, ripresa, in questo caso con la collaborazione di Carmen Consoli, quindi quella “Io confesso” pezzo scritto apposta per l’unica esperienza sanremese del duo meneghino, in quel caso per un ricongiungimento lampo e unico per la kermesse ligure appunto, festival che andò molto bene con un piazzamento in sesta posizione, per quello che può valere la spesso discussa classifica finale, comunque decretati tra i vincitori morali di quell’edizione, brano che vale un’intera discografia, riletto, per l’occasione, insieme a l’accoppiata Coleapesce / Dimartino.
Venendo a questo nuovo progetto, “Proteggimi da ciò che voglio”, mantiene intatte le peculiarità del marchio di fabbrica a nome La Crus, quindi la profondità letteraria delle liriche, sempre cantate con grande pathos e sentimento da Giovanardi, un maestro nel genere in questione, la raffinatezza della produzione, condivisa con Matteo Cantaluppi, fatta di dettagli e grande cura di tutti gli interventi, una moltitudine di strumenti che si alternano, andando a formare un magma classico e profondo.
I brani arrivano al dunque, non siamo ai livelli dei loro masterpiece, anche, va detto, per una collocazione storica, che sono sostanzialmente i primi tre, andati in crescendo e culminati con il succitato “La curva del cuore”.
Qui c’è una buona media di scrittura, è un lavoro che necessita attenzione e un pò di tempo per farselo proprio, assolutamente in controcorrente con la musica odierna, che deve essere, per forza di cose, veloce e istantanea, quanto immediata.
C’è sempre un songwriting raffinato di fondo, che rimane inattaccabile, penso ad un brano come “Discronia”, leggero, in sonorità maggiori, ma viscerale e riflessivo, o l’ouverture de “La Pioggia”, ballata soffusa pregna di ingredienti direttamente dall’esordio di metà anni novanta.
La ritmata title track, con un ritornello pop, che potrebbe fare bene anche in un ipotetico airplay, la mia preferita dopo alcuni ascolti, potrebbe essere “La rivoluzione” con il feat di Slavoj Zizek e Vasco Brondi in versione Giovanni Lindo Ferretti, anche lui, tra l’altro, fresco di album nuovo.
Nell’insieme un disco che non aggiunge nulla di nuovo al lungo percorso dei La Crus, ma che ne consolida uno status d’importanza per tutto quello che hanno dato in questi trent’anni di esistenza, un disco che potrebbe facilitare la scoperta per le nuove generazioni di un collettivo seminale.