Bologna, gli anni Novanta, Aidi, l’America, Jack – ovvero John – che abbandona la band, perché il peso della popolarità e dello show-business è eccessivo, perché l’io-tossico lo rende inqueto e paranoico, perché ha perso un carissimo amico – River Phoenix – e tutto il resto sembra solo essere un inutile, malato, disumano diversivo.
Intanto il nostro paese è alle prese con le sue solite, sterili polemiche e divisioni, Destra e Sinistra, le ombre del fascismo, il malaffare dilagante che, da lì a poco, avrebbe cancellato un’intera classe politica e tutti i partiti di governo, una sorta di secondo boom economico, gli onnipresenti luoghi comuni che, da sempre, amplificano l’atavico provincialismo tricolore; il provincialismo che, ancora oggi, tenta di tenerci tristemente relegati tra il palco sanremese e gli studi televisivi romani del Centro Titanus Elios.
Ma c’è vita là fuori, un filo sottile di vita pulsante, di ritmiche e parole vere, che – solamente per citare qualche nome – va da “Catartica” a “Cattive Abitudini”, da “Socialismo Tascabile” a “DIE”, da “Requiem” a “Scenario”, per arrivare ai giorni nostri, alle trame elettroniche ed accattivanti di “Spira”. C’è sempre stata un’altra vita, dunque, c’era prima e ci sarà anche dopo. L’importante, come diceva Andrea Pazienza, al quale il libro di Brizzi è dedicato (assieme allo scrittore Pier Vittorio Tondelli), è non tornare mai indietro, nemmeno per prendere la rincorsa.
Intanto, con o senza riconcorsa, Enrico Brizzi annuncia il ritorno di Alex che avevamo, ormai, lasciato a quel fatidico 1996, l’anno in cui venne pubblicato l’omonimo film diretto da Enza Negroni, l’anno nel quale i C.S.I. lanciarono il celebre “Linea Gotica”, Fabrizio De André l’epico “Anime Salve” e, dall’altra parte dell’oceano, assistemmo all’impetuoso balzo in avanti dei Tool (“Ænima”) e al canto del cigno di una delle band più strabilianti del grunge, ovvero gli Alice In Chains, che con il loro struggente “Unplugged” (registrato il 28 Maggio del 1996), immortalano l’ultima grandiosa apparizione di Layne Staley davanti al proprio pubblico.
La storia di Brizzi, però, è soprattutto una storia d’amore, un amore che – fortunatamente per l’autore e per noi lettori – non è il solito amore sdolcinato, ma una forza che insinua dubbi, che fa comprendere ad Alex, nonostante la musica sulla quale – come noi – può contare, quanto, alla fine, sia prevedibile, opprimente e claustrofobica la sua vita medio-borghese. Si rende conto, tutto sommato, di come le domande che fa a sé stesso e che, spesso, ci siamo fatti anche noi, siano strane, scomode ed irrazionali.
Irrazionali, assurde, folli, proprio come le scelte compiute dal celebre chitarrista americano, il quale decide, di punto in bianco, senza fornire motivazioni solide, almeno dal punto di vista di Alex, di lasciare quella che è una delle band di successo del momento, una band di fama mondiale, i Red Hot Chili Peppers, con i quali ha pubblicato, tra l’altro, quello che si rivelerà come uno degli album fondamentali dei 90’s, ovvero “Blood Sugar Sex Magik”.
La narrazione è fluida, molto, molto musicale, e ciò, probabilmente, è uno dei motivi che portarono il libro, in breve tempo, ad un successo che nessuno sarebbe mai stato in grado di prevedere, lasciando ciascuno di noi ad immaginare il resto della storia, magari cercandola nelle proprie canzoni e negli album preferiti. Enrico Brizzi spiega che vorrebbe ritornare a scrivere di Alex e, come sempre, quando vengono fatti questi annunci – sequel, reunion o ritorni di fiamma – la domanda è sempre la stessa: non è che, rincorsa o no, stiamo correndo all’indietro?