Credit: Guido Harari

La storia dei CCCP la conosciamo tutti, dall’incontro a Berlino tra Giovanni Lindo Ferretti con Massimo Zamboni nel 1981 ai loro inizi con Zeo Giudici e poi le prime registrazioni per l’etichetta indipendente bolognese Attack Punk Records, in questo articolo ripercorrerò la loro storia soffermandomi su alcuni aspetti legati al periodo, a come sono stati vissuti al primo ascolto e a quello che hanno raccontato di quel periodo.

CORREVA L’ANNO 1986

“1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età”: i filosovietici e gli orfani

I CCCP avevano iniziato a pubblicare nel 1984 (Ortodossia) seguito dai primi Ep “Ortodossia II” e “Compagni, cittadini, fratelli, partigiani” nel 1985, arrivando al loro primo album nel 1986 con brani quasi tutti scritti nei primi anni 80.

Io ho fatto la loro conoscenza nel 1987 quando erano già passati alla Virgin che aveva ristampato in vinile nero “Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi” (già uscito nel 1986 in vinile rosso per la Attack Punk Records}, con i risparmi dalla cresta sulle risorse che avevo da studente universitario ero andato nel mio solito negozio di dischi per comprare qualcos’altro ma colpito dalla copertina e dal titolo del loro album l’ho messo sul piatto per ascoltarlo.

In quel periodo funzionava ancora così, si passava qualche ora nel negozio ascoltando vari dischi per poi comprarne uno, l’album mi convinse immediatamente e una volta portato a casa e ascoltato per bene finì per incuriosirmi ancora di più, sia musicalmente che per i testi.

Era un punk ben fatto brillante e divertente anche se il punk era già il passato e si era trasformato, ma la cosa che più mi colpiva e suonava strano erano i testi, in particolare i riferimenti al comunismo e un atteggiamento filosovietico erano spiazzanti considerata l’epoca, dove ormai la vera natura dell’ Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche era svelata e abbastanza evidente.

Eravamo nel pieno degli anni 80 che per quanto oggi vengano raccontati come un periodo fantastico ( e sono certi punti di vista lo era ) erano anni anche pieni di contraddizioni e preoccupazione, il periodo difficile passato in Italia negli anni 70 e nei primi anni 80, tra Brigate Rosse e le stragi della destra che avevano riempito di vittime innocenti tutto il paese sembrava ormai superato ma altri problemi restavano.

L’ eroina ormai era ampiamente diffusa e la scarsa consapevolezza della sua pericolosità aveva alimentato negli anni l’utilizzo tra i giovani, poi c’era l’Aids, la guerra fredda e la costante minaccia di una guerra atomica, centrali nucleari che esplodevano e tanto altro mentre la società si trasformava, c’erano i nuovi adolescenti che da bambini avevano assistito ad un paese fortemente politicizzato e violento e quelli poco più grandi di loro che invece si erano immersi con sentimento e partecipazione in quel periodo di contrapposizione ideologia.

Una generazione di orfani, da un lato quella più giovane che si ritrovava senza una guida, senza santi ne’ eroi, cosa che forse inconsapevolmente Vasco Rossi tracciava e preannunciava con una certa precisione in “Siamo solo Noi” (..Siamo solo noi Che non abbiamo più niente da dire Dobbiamo solo vomitare Siamo solo noi Che non vi stiamo neanche più ad ascoltare), dall’altro lato una generazione che nella sconfitta delle ideologie si trovava persa, vedeva sgretolarsi e cadere a terra ogni convinzione, quando ormai la rivoluzione sembrava solo orrore e il comunismo dove si era realizzato mostrava tutte le sue crepe e contraddizioni.

Quando Vasco Rossi pubblica nel 1981 “Siamo Solo Noi” non è di certo un ragazzino, ha ventinove anni un anno in più di Giovanni Lindo ma i due interpretano la loro condizione di orfani in modo diverso.

In fondo negli anni 80 si era aperto un processo di distruzione e ricostruzione che ha trasformato il nostro paese che negli anni a seguire, attraverso l’azzeramento di una intera casse politica e il berlusconismo, ci ha portato nel bene e nel male a quello che siamo oggi, “Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi” tra le righe parlava già di tutto questo restando aggrappato fuori tempo ad un passato che veniva trapassato dal futuro: nonostante tutto però paradossalmente a sembrami un vecchio in quel periodo non erano i CCCP ma solo Vasco Rossi.

Tornando al mio racconto personale entusiasmato dall’ascolto dell’album pensai bene di registrare due cassette (anche questa era una cosa che in quel periodo si faceva spesso) da regalare a due miei amici che pensavo potessero apprezzare questo album: il primo era uno delle migliori persone conosciute nella mia vita, vero intellettuale di sinistra e studente di sociologia ieri, e oggi stimato professore universitario (grazie alle sue cassette recuperai tutto il cantautorato di sinistra che a causa dei miei ascolti, soprattutto esterofili, avevo fin dalla tenera età bellamente ignorato, da Francesco Guccini a Claudio Lolli fino all’ Assemblea Musicale Teatrale che amai tantissimo).

Trovò l’album molto interessante, particolarmente colpito dai testi mi confermò e spiegò i vari riferimenti filosovietici presenti e mi disse che decisamente facevano sul serio, restituirà il favore della cassetta quando usci “Socialismo e Barbarie” perché ormai era un fan.

Il secondo amico a cui portai la cassetta era quello a cui dovevo gran parte della mia conoscenza del punk, a lui dovevo cassette nelle quali avevo conosciuto The Stooges, i Sex Pistols, i Ramones, i Buzzcocks e molti altri artisti degli anni 60 e 70 e al quale avevo dato alcune mie sempre con scarso successo, non ero riuscito a colpirlo neanche con i Cure o i Devo, snobbava (ed è dire poco) anche i Clash (.. ma questo mica è punk!!!! mi disse) a dirla tutta solo quando gli feci ascoltare “Crocodiles” degli Echo & The Bunnymen ottenni con sorpresa un po’ di soddisfazione.

Questa volta ero sicuro che con i CCCP lo avrei impressionato e in effetti il primo brano omonimo aveva catturato la sua attenzione ma con “Curami” non arrivò alla fine del brano “.. copiano i Ramones senza vergogna” sentenziò (si riferiva alla loro “Today Your Love, Tomorrow the World”) , ma poi ci ripensò diventando anche lui un fan, negli anni l’ho perso di vista ma spero conservi ancora la sua fantastica collezione di vinili grazie alla quale mi ha fatto conoscere gran parte della migliore musica degli anni 60 e 70.

“Curami” viene scritta nel 1983 alcuni giorni prima di esibirsi al Kuckuk di Berlino e nasce come una precisa volontà di scrivere un brano che omaggiasse il fatto di ascoltare in continuazione il primo album dei Cure, molti ci hanno visto un testo che esprime un rapporto tra paziente e curante (ispirato dal lavoro di operatore psichiatrico svolto negli anni precedenti da Giovanni), se invece vogliamo darne una lettura politica possiamo leggerci una volontà di uscita da una tendenza che aveva coinvolto e spinto negli anni ’70 una generazione vicina al baratro (“terrorismo o pere, entrambe scelte plausibili e allora di modaGLF), una generazione che necessitava ora di una cura.

Arrivato alla soglia dei trenta anni Giovanni era un adulto che aveva vissuto in prima persona la lotta politica (era stato militante di Lotta Continua) e aveva dentro di sé anche un sentimento religioso sopito che proveniva dalla sua famiglia di origine, ma soprattutto era come un adolescente catapultato dalla musica a recuperare quello che non aveva vissuto quando era stato un adolescente vero.

Trovarsi ora in un mondo diverso dove il progresso era in stretta simbiosi con la democrazia poneva degli interrogativi che la semplice fascinazione per l’USSR non riusciva a soddisfare, era inevitabile finire trafitti e trapassati da un futuro che si palesava come inevitabile, il ricordo di discorsi belli, tondi e ragionevoli e l’inno tifiamo rivolta suonano come una resa che lentamente portava all’apatia e alla ricerca di desideri che già si sapeva che erano fragili e resi lentamente indispensabili da forze esterne a se stessi.

Ad analizzarla bene questa fascinazione verso il mondo sovietico era più estetica che ideologica, il comunismo dell’est nella sua contraddittoria realizzazione restava un baluardo a cui dedicarsi anche anche se si intravedevano già le crepe, gli adolescenti degli anni settanta stavano lasciando il loro spazio a quelli degli anni ottanta già pronti ad abbracciare un edonismo che ponendo al centro l’individualismo mutava una visione comunitaria e di condivisione, che aveva iniziato a manifestarsi dal movimento hippy, in una esigenza di affermazione economica personale che trasformava l’altro da compagno a rivale, i valori e le ideologie non contavano più nulla sostituiti dalla voglia di apparire e consumare.

Un processo inarrestabile che ci ha accompagnato fino ad oggi e che è stato accelerato dalla globalizzazione e dall’impatto dei social nella vita economica e culturale di una società già allo sbando.

Le vecchie generazioni erano disilluse mentre le nuove semplicemente disinteressate, gli anni 70 avevano lasciato in fondo ben poco a parte una marea di amici del campetto passati dalle Marlboro direttamente all’eroina Alla faccia delle droghe leggere.

“1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età” tra le righe nasconde anche questo, in particolare “Trafitto” lo descrive bene, si può tifare rivolta ma come uno spettatore allo stadio che osserva una partita di calcio che può solo guardare quello che accade con gioia o dispiacere, perché il progresso mostrandosi in tutti i suoi colori diventa di un unico colore, anche il desiderio lentamente viene indirizzato verso un consumismo sfrenato nel quale il consumatore diventa l’oggetto, acquista tutto ma non è mai soddisfatto perché il vero protagonista e’ il prodotto che immediatamente diventa vecchio e poi rinasce pronto per essere comprato di nuovo (“Fragili desideri, fragili desideri, fragili desideri A volte indispensabili, a volte no“).

CORREVA L’ANNO 1987

“Socialismo e barbarie”: l’Emilia ora è rozza, lo sguardo e’ rivolto sempre ad est mentre arriva il momento di pregare

“Socialismo e barbarie” è il vero album d’esordio per la major Virgin, un passaggio dalla Attack Punk Records che era stato osteggiato dai primi fan in maniera anche violenta durante i concerti (ad un concerto a Bergamo vennero assaliti dai Punx del Virus che li costrinsero a fuggire mentre l’auto del povero Umberto Negri veniva semi distrutta).

Da fedeli alla linea ma la linea non c’è a fedeli alla lira che ora c’è: il cambiamento era stato un tradimento per i primi fan, ma il passaggio alla major era più che legittimo e tutto sommato non castrava la band, ovviamente le risorse erano maggiori e l’album si presenta lucidato per bene, pur non avendo l’intensità dell’esordio era un buon album che soprattutto nella prima parte non deludeva le aspettative mantenendo un certo spirito del debutto.

Umberto Negri se ne era andato sostituito al basso da Ignazio Orlando e un secondo chitarrista Carlo Chiapparini veniva aggiunto alla band, la continuità era presente anche perché diversi brani, che erano stati esclusi nel loro primo album, erano stati recuperati: “Radio Kabul”, “Tu Menti”, “Stati di Agitazione”, “Manifesto” e “Hong Hong” erano stati inseriti senza essere stati trasformati più di tanto.

Il titolo dell’album riprende e cambia la frase socialismo o barbarie, un concetto reso popolare da Rosa Luxemburg che a sua volta sembrava riprenderla da Friedrich Engels ma che il realtà era stata pronunciata anni prima da Karl Krautsky << noi possiamo andare avanti verso il socialismo o ricadere nella barbarie>>.

Karl Krautsky è stato uno delle maggiori figure del marxismo ortodosso, quindi in contrapposizione con ogni forma di marxismo revisionista che prevedeva un dialogo con tutte le classi sociali per indirizzare la società verso riforme a favore della classe operaia accettando l’impossibilità di percorrere una via rivoluzionaria, Krautsky invece vedeva l’avvento de comunismo come generato solo attraverso il collasso del sistema capitalistico e la rivoluzione proletaria, in linea con il pensiero marxista.

Nonostante la rivoluzione sovietica si fosse sviluppata essenzialmente in un paese rurale e latifondista Krautsky l’aveva accolta in maniera favorevole all’inizio, ma già nel 1918 aveva iniziato ad esprimere pareri negativi poi concretizzati in numerosi libri dove esprimeva e criticava il carattere dittatoriale del potere bolscevico.

Questa critica sembrava in contrapposizione con la sua frase riportata prima, in fondo in Russia si stava compiendo il sogno socialista tanto sperato, in realtà il filosofo era consapevole che quello sovietico non era vero socialismo perché non era nato da una rivoluzione proletaria e dal collasso del sistema capitalistico, come gran parte del comunismo reale era nato in paesi sottosviluppati e privi al momento della rivoluzione di una vera classe operaia.

Il titolo “Socialismo e Barbarie” (che trasformava il concetto di socialismo o barbarie) suonava quindi strano per una band filosovietica, faceva pensare che i CCCP erano ben consapevoli degli orrori che erano accaduti e accadevano in SSSR, sicuramente ne erano consapevoli ma questo non era sufficiente ad annullare il fascino contraddittorio che quel mondo emanava, farne una bandiera era lo schiaffo tipico del punk e per questo dissacrante e affascinante, così cosa c’era di meglio che aprire l’album con “A ja ljublju Sssr” (e io amo USSR) creato sulla base dell’inno sovietico? Era un inizio semplicemente perfetto.

Quando i CCCP rivolgevano lo sguardo verso est non facevano altro che dare uno schiaffo all’occidente che non li rappresentava, o perlomeno non li affascinava, guardare la Russia, la Cina comunista così come esplorare il mondo arabo era un’esigenza dettata dalla volontà di non accettare quello che non si poteva più combattere.

La vittoria del capitalismo e l’avvento dell’edonismo reaganiano aveva tracciato una linea precisa alla quale si obbligati ad essere fedeli, una fedeltà diversa da quella pensata, una trasformazione che poneva individuo e consumismo come centrali.

Il concetto di “Produci, consuma, crepa” era ancora presente e i temi rincorrevano quelli del primo album, sembrava solo che a distanza di così poco tempo qualcuno era già pronto a cambiare o era già cambiato.

Se anche “Rozzemilia” in fondo risultava essere una conclusione descrittiva dell’Emilia paranoica era il canto religioso di “Libera me Domine” a tracciare un elemento di novità, Giovanni Lindo Ferretti portava all’attenzione dell’ascoltatore un altro mondo che aveva visto molto rappresentato da piccolo e lo rappresenterà ancora da adulto.

CORREVA L’ANNO 1989

“Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa”: i CCCP non esistono quasi più.

Nel 1989 il mondo si stava trasformando e anche il comunismo reale iniziava a mostrarsi più debole, in Russia Michail Gorbaciov e la sua perestrojka erano ormai inarrestabili e stavano cambiando il volto di un mondo pronto a questo cambiamento, anche in Cina la rivolta studentesca di piazza Tienanmen aveva mostrato una voglia di cambiamento questa volta però il risultato era stato un bagno di sangue che aveva sconvolto tutto il mondo.

I CCCP erano pronti per uscire con questo nuovo album mentre erano in tour insieme ai Litfiba, ai Rats e ai Mista & Missis in Unione Sovietica, sarà proprio mentre stanno coronando il loro sogno di esibirsi nei luoghi del loro mito iconografico che creeranno i presupposti per il loro ultimo album e la futura nascita dei CSI.

Musicalmente l’album “Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa” segna un cambiamento, meno chitarra più tastiere e sintetizzatori e un sound new wave che fa perdere di incisività la band, sono presenti dei buoni brani ma l’album manca di solidità anche se a tratti le liriche di Giovanni non perdono la loro efficacia.

L’energia punk affiora qua e là come in “Fedele Alla Lira? ” ma fondamentalmente l’album è un tentativo di proporre musica da diverse parti del mondo in un modo elettronico che non sempre funziona, sia che si tratti di reggae che di ritmi spagnoleggianti.

La copertina è molto bella con la foto di una statua in marmo della Madonna col Bambino scolpita dal padre di Zamboni, un’espressione di religiosità che viene esaltata da “Madre”, una preghiera che la Virgin non voleva che venisse inserita temendo che potesse far perdere pubblico alla band.

L’intervento di Annarella riuscì a convincere tutti, fu sufficiente dire: “Succederà così: Zamboni attacca la chitarra, Ferretti comincia a cantare ‘madre di Dio’ e tutti i punkettoni con le lacrime agli occhi alzeranno il pugno chiuso al cielo. Detto, fatto”, la canzone fu così inserita.

I CCCP erano cambiati e l’album appariva discontinuo e non mi affascinò più di tanto ma il vero cambiamento si sarebbe realmente verificato nell’album successivo: nel 1989 entrano nel gruppo Giorgio Canali alle chitarre, e dai Litfiba Gianni Maroccolo al basso, Francesco Magnelli alle tastiere e Ringo De Palma alla batteria e i CCCP ora si erano trasformati davvero in qualcosa di diverso.

CORREVA L’ANNO 1990

“Epica Etica Etnica Pathos”: il primo album dei CSI?

Registrato in analogico in una villa abbandonata della campagna reggiana era un album che era atteso con una certa aspettativa poi ampiamente ripagata, io lo acquistai a scatola chiusa perché ero convinto che sarebbe stato un grande album e fortunatamente non mi sbagliavo.

Ci si aspettava qualcosa di diverso del loro tutto sommato deludente album precedente ed in effetti ” Epica Etica Etnica Pathos” è un altro mondo rispetto a “Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa”, l’album è un percorso intenso nel quale si percepisce un senso di libertà che sembrava perso.

I CCCP erano finiti ma ci lasciavano una speranza, non poteva finire tutto così era impossibile.

E’ difficile pensarlo come un album dei CCCP, questa era già un altra band con un futuro da scrivere, pronta già a risorgere dalle proprie ceneri e da un mondo che si stava sgretolando proprio in quel momento e rischiava di franarti addosso .….No non ora non qui in questa pingue immane frana.

Si chiude il sipario, mentre gli spettatori se ne vanno i CCCP cantano la loro ultima canzone.