Non si sentiva da un bel pò la sig.ra Jones per la quale immagino un consistente numero di seguaci dell’alt rock ha comunque un debole da sempre, e l’ascolto di questo “Visions” conferma le buone cose di cui la figlia di Ravi Shankar continua a portarsi dietro con la sua musica indistinguibile, raffinata e soulful.
E’ difficile non provare una ammirazione verso il modo in cui affronta i tempi medi e carezza le corde vocali in canzoni per lo più soft ballads, con quella voce calda e presente, che si accolla l’onere di riempire con toni sempre oculatamente ponderati delle strutture calibrate, fra jazz soffuso, blues orchestrali, musica popolare americana, swing lento, dimostrando l’invidiabile capacità di poter sostenere tutto questo peso con una classe ormai da grande intrattenitrice.
Più che la scoperta e l’avvicinamento conseguente al mondo del pop rock già tentato in passato con Danger Mouse ai tempi dell’album “…Little Broken Hearts” , “Visions” attesta, con una serie di canzoni senza sbavature o cali di tensione, la dimensione autoriale dell’interprete di “Sunrise”, che non si nasconde dietro un passato glorioso e non vuole dimostrare di poter competere con nessuna altro mondo o genere se non quello che da sempre le è caratteristico e che anche in questo nono album performa al meglio, con una consapevolezza ancor più più marcata ed apprezzabile che in passato.
Lo si capisce ad esempio da un brano come “Staring at the wall”, opzione di sintesi fra le amate linee di piano e una minimale e secca controparte di chitarra, interessantissima forma di canzone sulle corde di un sentimento che fa molto “I’m on fire” del Boss, semplice, essenziale, sempre con la voce pregnante, con un’immaginario americano strabordante.
Siamo su un livello di sincerità molto elevato, forse ecco il vero motivo della simpatia per una cantante lontana dall’indie, ma molto vicina definitivamente al largo e mutabile perimetro della buona musica.