Festeggiate il trentesimo compleanno di “Smash” concedendovi un po’ di tempo per rilassarvi. Versatevi un bicchiere di vino, sedetevi sulla vostra poltrona preferita e godetevi le melodie di un classico che ha fatto la storia del rock. No, non sono impazzito e non sto neanche esagerando: il terzo album degli Offspring ha fatto davvero la storia del rock. Con le sue undici milioni di copie vendute in tutto il mondo, rappresenta ancora oggi il maggior successo commerciale mai raggiunto da una piccola etichetta indipendente.
Per cercare di soddisfare le incessanti richieste di rifornimenti da parte dei negozianti lo storico chitarrista dei Bad Religion Brett Gurewitz, all’epoca giovanissimo proprietario della Epitaph, fu costretto a ogni tipo di sacrificio: dal mettere una seconda ipoteca sulla casa all’affittare depositi dove immagazzinare quelle tonnellate di pacchi di cd e musicassette che, stando alle sue parole, avevano trasformato l’ufficio di una label che contava appena cinque dipendenti in un grande, inagibile cubo di Rubik. Una fatica disumana per un risultato encomiabile: non cedendo alle insistenti avances delle major ““ o meglio, non cedendovi subito – Gurewitz e gli Offspring riuscirono a preservare intatta la loro dignità artistica, guadagnando soldi a palate con un autentico lavoro “indie”.
Praticamente nessuna band del genere più in voga in quel periodo, il grunge, aveva mai ottenuto una conquista di tale portata lontana dai consigli e dal supporto di qualche pezzo grosso dell’industria discografica. Ed è curioso notare il fatto che una delle opere simbolo dell’esplosione del punk rock californiano di fine millennio sia stata pubblicata proprio l’otto aprile 1994, data del ritrovamento del corpo di Kurt Cobain nella serra della sua villa sul lago Washington: un’incredibile coincidenza che conferisce a “Smash”, un grandissimo album ma di certo non un capolavoro, un significato che va ben oltre i suoi effettivi meriti.
Non si tratta quindi solamente di un formidabile best seller in grado di battere record su record, ma di un vero e proprio spartiacque tra due delle principali tendenze dell’alternative rock degli anni “’90. Un punto di incontro tra la rabbia, la frustrazione e la crudezza del grunge, il dinamismo dell’hardcore e quel senso di ribellione che da sempre è prerogativa del punk; una commistione di stili tutto sommato abbastanza simili che Dexter Holland, Noodles, Greg K. e Ron Welty resero ancor più appetibile alle masse grazie all’introduzione di un ingrediente fondamentale, la chiave che aprì loro le porte dell’heavy rotation: il pop.
A conquistare stuoli di adolescenti orfani dei Nirvana non furono nè l’impressionante carica di “Nitro (Youth Energy)”, “Bad Habit” e “Something To Believe In”, nè i riffoni epici della title track e di “Genocide”, ma gli hook e i ritornelli anthemici di hit immortali quali “Gotta Get Away”, “Self Esteem” e “Come Out And Play”, tre brani talmente orecchiabili da restare impressi nella memoria sin dal primissimo ascolto. Non bastano quattro accordi: per fare del buon skate punk ci vogliono attitudine, idee e quintali di cori e melodie da cantare a squarciagola. D’altronde, la musica ha il potere di calmare anche la bestia più selvaggia.
The Offspring ““ “Smash”
Data di pubblicazione: 8 aprile 1994
Tracce: 14
Lunghezza: 46:47
Etichetta: Epitaph
Produttore: Thom Wilson
Tracklist:
1. Time To Relax
2. Nitro (Youth Energy)
3. Bad Habit
4. Gotta Get Away
5. Genocide
6. Something To Believe In
7. Come Out And Play
8. Self Esteem
9. It’ll Be A Long Time
10. Killboy Powerhead
11. What Happened To You?
12. So Alone
13. Not The One
14. Smash