Nel panorama musicale contemporaneo, dove le etichette diventano sempre più soffocanti e limitanti, gli Infant Island si stagliano come un faro di originalità con il loro ultimo lavoro, “Obsidian Wreath”. Questo quintetto statunitense non teme di navigare nelle acque tumultuose della musica estrema, fondendo blackgaze e screamo in un amalgama che è tanto ardito quanto espressivo.
“Obsidian Wreath” è un album che non si lascia facilmente catalogare. Le tracce sono impregnate di un’ira che brucia lenta, una rabbia che non si esaurisce in un fuoco di paglia, ma che arde con intensità e profondità anche negli effimeri momenti melodici. È una rabbia che non distrugge, ma piuttosto crea, dando vita ad atmosfere e paesaggi sonori che sono al contempo desolati e vibranti di un’energia cruda e indomita.
Sebbene a momenti possa sembrare che l’album ceda alla tentazione della ripetitività, soprattutto nei passaggi più assordanti, è proprio in questi frangenti che gli Infant Island riescono a sorprendere, dimostrando come anche il caos possa essere plasmato in forme di inaspettata, disperata bellezza. La ferocia delle composizioni non è mai fine a se stessa; è piuttosto un mezzo per raggiungere un’espressività che va oltre il semplice impatto sonoro.
In “Obsidian Wreath”, gli Infant Island ci ricordano che la musica estrema non è solo un urlo nel vuoto, ma può essere un linguaggio ricco e sfaccettato, capace di raccontare storie di dolore e di passione. Un album che, pur con qualche piccola incertezza, si rivela un viaggio emozionante e degno di attenzione nel vasto universo del suono pesante.