Instancabili gli australiani The Church che a un anno di distanza dall’ultimo album “The Hypnogogue” regalano sedici brani che in buona parte provengono dalle sessioni di registrazione di quel fortunato predecessore. Un’altra ora e un quarto di buona musica dunque, che li vede inoltrarsi in territori noti e meno noti tra rock, psichedelia e quelle fulgide armonie jangle pop che li hanno sempre caratterizzati.
Ascoltare “Eros Zeta And The Perfumed Guitars”, originariamente disponibile e acquistabile solo ai concerti americani dei The Church, diventa un modo per esorcizzare la malattia che ha colpito Steve Kilbey costringendolo a rinunciare al tour europeo che l’avrebbe portato anche nel nostro paese nel mese di aprile. Ovvie protagoniste le chitarre citate nel titolo che accompagnano in un nuovo epico viaggio.
“The Hypnogogue” era un vero e proprio concept album, qui la trama è più sfumata ma comunque riconoscibile tra melodie calde e riflessive – sentire per credere “Realm Of Minor Angels” e “Amanita” o “2054″, “Song 18″ e “Korea” – la verve di “Pleasure” e il mood acustico di “Manifesto”. “The Immediate Future”, “Sublimated in Song”, “Song From the Machine Age” e “Music From the Ghost Hotel” ripropongono gli arrangiamenti più raffinati del disco precedente con nuova e indubbia eleganza.
L’esplosività di “The Weather” e il tono confidenziale di “Sleeping for Miles”, il sintetizzatore di “Last Melody” e il dinamismo di “A Strange Past” confermano che “Eros Zeta And The Perfumed Guitars” è ufficialmente il secondo capitolo, la puntata successiva di “The Hypnogogue” da gustare con l’attenzione che merita (splendide tra l’altro entrambe le copertine). Veterani indomiti i The Church che non hanno alcuna intenzione di appendere le chitarre al chiodo mostrando anzi quanto possano essere ancora ispirati.