I Cure di metà anni Ottanta. Ovvero, una navicella di artisti alieni a caccia del proprio spazio nell’universo. Non più, dunque, i ragazzoni in cerca di futuro del maestoso “Pornography” e non ancora gli adulti consapevoli del successivo “The Head on the Door”. Nel 1984, infatti, la band di Robert Smith aveva già gettato le basi per cercare di sfiorare le porte del paradiso mainstream, ma non era ancora riuscita nell’impresa di attraversarle con spregiudicatezza: in altre povere, “The Top” – che oggi compie quarant’anni – rappresenta una sorta di transizione fra il vecchio ed il nuovo testamento. E no, non ci riferiamo agli alti temi religiosi, ma a quello del sopraccitato Smith.

Si tratta, infatti, di dieci brani che sanno di (post)punk, psichedelia e new wave con un occhio sensibile – naturalmente – verso quelle sonorità pop emergenti completate dalla voce sempre più bizzarra – ma dannatamente abile – del caro vecchio “Bob”. “The Top”, in pratica, sono i Cure prima di diventare i Cure. Una specie di gran ballo scolastico il cui centro della scena viene preso giocoforza da pezzoni intrisi di piccola poeticità metropolitana e da una squintalata di suoni che oggi verrebbe definita “sperimentale”.

Come giudicare, altrimenti, l’incedere psycho-finto-jazz di un brano come “The Caterpillar”? Va da sé, com’è fisiologico che sia, che il disco in questione venga guardato un po’ di sguincio dagli estimatori della prima ora della band inglese. Non foss’altro che per il ritmo un po’ spiazzante (almeno per l’epoca) di una traccia come “Shake Dog Shake” e per quel sound, fin troppo all’avanguardia, della title-track. Insomma, a quei tempi i Cure stavano spingendosi (forse troppo) verso dei territori piuttosto pop. Singoli in odor di accessibilità come “Lovecats” avevano aperto la formazione britannica ad un nuovo pubblico che preferiva questa immediatezza a tinte dark rispetto all’Arte grezza (ma pur sempre Arte) di un album con i controfiocchi quale era stato l’acclamato debut (“Three Ordinary Boys”). Va anche sottolineato, ad onor del vero, che con una band tutt’altro che unita e la salute di Smith piuttosto cagionevole (eufemismo), in quel momento qualunque cosa fosse stata partorita dai Nostri, sarebbe stata accolta con un certo scetticismo. Poco da dire.

Ed allora, “The Top” va preso così com’è, ossia come il lavoro più che dignitoso di una band che si stava proiettando verso i (grandi) traguardi di fine eighties. Probabilmente, se non ci fosse stato il disco pubblicato alla fine di aprile del 1984, non sarebbero arrivati neanche gli splendori successivi. In definitiva, a chi scrive piace pensare che un’opera eternamente spaziale come “Disintegration” sia stata resa possibile anche e soprattutto dalla suddetta fase sperimentale attraversata da Smith e soci.

Buttarsi a capofitto nella fugace oscurità di un momento, per raggiungere la gloria perenne nell’olimpo delle sette note. Ed in tal senso, “The Top” ha rappresentato un mezzo e non un fine. E’ altresì plausibile (plausibilissimo) che una mente geniale come quella di Robert Smith avesse già previsto tutto.

Pubblicazione: 4 maggio 1984
Durata: 40:55
Dischi: 1
Tracce: 10
Genere: post-punk, psychedelic-rock, gothic-rock, new wave
Etichetta: Fiction
Producer: Jeff Lynne, Tom Petty, Mike Campbell

Tracklist:

  1. Shake The Dog
  2. Bird Mad Girl
  3. Wailing Wall
  4. Give Me It
  5. Dressing Up
  6. The Caterpillar
  7. Piggy In The Mirror
  8. The Empty World
  9. Bananafishbones
  10. The Top