Che i Gomez siano stati un progetto importante, quanto ancora oggi punto di riferimento per un certo tipo di folk, non vi è ombra di dubbio.
Oggettivamente la band di Southport ha inanellato quella doppietta iniziale, che in molti sognano, mi riferisco ai primi due dischi con tanto di prestigioso Mercury prize in cassaforte. Al di là dei gusti, c’erano diversi ingredienti miscelati ad hoc, con quell’alchimia magica che non certo capita tutti i giorni.
Poi una carriera comunque più che dignitosa, in questo momento apparentemente in stand-by, dato che non pubblicano un disco nuovo da più di un lustro, e la fuoriuscita in solitaria di Ben Ottewell, che sta portando in giro a tempo indeterminato il repertorio sia dei Gomez, celebrando, per altro, il loro osannato esordio “Bring it on” fresco di quarto di secolo in agenda, insieme a canzoni dei suoi dischi solisti.
Lui, che con il sodale Ian Ball, era ed è la punta dell’ iceberg del collettivo inglese.
Tra l’altro, proprio reduci da alcuni concerti insieme nel Regno Unito, che non sia il pretesto di una futura reunion.
Quindi l’ennesimo tour italiano parte in questi giorni, Ben è veramente di casa nel nostro paese, e, facendo una battuta, un po’ come gli Editors, meriterebbe la cittadinanza.
Dimensione la sua, oltre che in solitaria, sempre intima, fatta di piccoli posti e situazioni confidenziali.
Così incomincia proprio da Verona, dalla Corte Ongaro, questo nuovo giro di appuntamenti. Una bellissima struttura classica, un hotel raffinato, il cui gestore, grande appassionato di musica, porta artisti sia stranieri, sia italiani nell’incantevole terrazza, che per ragioni di meteo, stasera non viene utilizzata, quindi set che è stato allestito nella hall a piano terra.
Ottewell è davvero un gigante, capace di ricreare con solo una chitarra acustica e il suo possente quanto elegante timbro vocale, un’atmosfera delicata e armonica. Chiaramente aiutato dalle canzoni, che sono le vere protagoniste, spogliate da ogni arrangiamento, e qui ce ne sono di bellissime. Tra l’altro mancheranno all’appello sia “78 Stone Wobble” singolo principe dello stesso “Bring it on”, sia “Make no sound” altra perla del premiato esordio, ma nonostante tutto abbiamo ascoltato una setlist eccellente.
Come non citare forse una delle più belle ballad di sempre “We haven’t turned around” emozionante come poche. La filastrocca indie di “Whippin’ Piccadilly”, la messicana “Tijuana Lady”, insieme all’opening della blueseggiante “Rattlebag” o dell’intimo racconto di “Blackbird”dalla sua carriera solista. Potrei comunque citarle tutte, del resto parliamo di un classico best of.
Consigliatissimo.