Con “Coming Up” del 1996 i Suede erano arrivati ad essere uno dei gruppi di punta del movimento britpop e del pop-rock di stampo inglese tutto: successo, vendite, critiche favorevoli, il vento girava a favore. E nemmeno l’addio di Bernard Butler sembrava aver apportato effetti negativi, sostituito dal giovanissimo Richard Oakes. Singoli macina-classifiche, concerti sold-out, lunghe interviste ovunque, l’uscita della raccolta di b-side e rarità “Sci-Fi Lullabies”. Dopodichè, tracce di un nuovo album all’orizzonte, nessuna. Ad acuire il tutto, una dipendenza dalla cocaina di Brett Anderson che si stava facendo cosa seria, Neil Codling alle prese con la sindrome da fatica cronica e il poco più che ventenne Oakes a fronteggiare un uso sempre più massiccio di alcol.
Arrivati quindi al punto di lavorare sul nuovo disco, si decide pure di fare a meno dello storico produttore Ed Buller (un rapporto ricostituitosi solo negli ultimi anni) per affidarsi a Steve Osborne (già dietro le quinte degli Happy Mondays, di “Pop” degli U2 e dell’esordio dei Placebo) e ad un’impostazione dall’impronta più elettronica, con utilizzo di synth e drum machine.
E l’album, seppur distaccandosi dalle venature più glam-rock dei precedenti, parte pure forte: perchè “Electricity” è un pezzo che anche se marchiato da una chitarra futuristica, distorta ed elettronica, ha tutti i crismi del marchio Suede, “Can’t Get Enough” un tracciante robot-rock di buona fattura, “Everything Will Flow” una ballad melensa ma arricchita da viole e violini che esalta le qualità canore (con il sua caratteristica voce simil-nasale) di Anderson (che intanto pare più vecchio dei suoi 32 anni, eppure viene eletto da alcune testate giornalistiche come uno degli uomini più belli del mondo), ancor più esaltate in “Down” col suo sottofondo beat vicino ad orbite trip-hop, e “She’s in Fashion”, vera punta di diamante dell’album e unico pezzo dello stesso che ancora possiamo trovare in scaletta nei concerti, spesso arrangiato in acustica dai soli Anderson e Oakes.
E’ la seconda metà però che lascia parecchio a desiderare, dove c’è veramente poco da ricordare se non direttamente salvare: la qualità del songwriting è abbastanza approssimativa, Oakes sin troppo sulle retrovie che prova a graffiare nella traccia “Head Music” (prima volta che un brano dei Suede dia il nome all’album) o in “Elephant Man”, entrambe comunque in pieno contagio elettronico/synth. Per un valore assoluto, però, piuttosto risibile.
La critica si divise sul valore di questo capitolo, i fan pure, ciononostante l’album sarà disco d’oro in Inghilterra e sarà l’ultimo lavoro in grado di arrivare alla vetta della classifica UK, dove volerà subito in uscita nel Maggio 1999.
Ma se la svolta verso nuove sperimentazioni avrebbe potuto garantire ai Suede di reinventarsi ed uscire quindi dalle sabbie mobili in cui si stava incagliando il movimento britpop tutto, “Head Music” segnerà invece l’inizio della crisi per Anderson (che si muoverà poi da solista, con -diciamocelo- non grande fortuna) e compagni, che nella loro seconda vita artistica è stata pienamente superata, arricchendo comunque il ricettario che aveva garantito il loro primo, clamoroso, successo, e grazie anche alla resa dei live in cui l’animale da palco Brett Anderson riesce ancora a catalizzare piena luce.
Suede – “Head Music”
Data di pubblicazione: 3 Maggio 1999
Tracce: 13
Lunghezza: 57:47
Etichetta: Nude
Produttori: Steve Osborne
Tracklist:
1. Electricity
2. Savoir Faire
3. Can’t Get Enough
4. Everything Will Flow
5. Down
6. She’s In Fashion
7. Asbestos
8. Head Music
9. Elephant Man
10. Hi-Fi
11. Indian Strings
12. He’s Gone
13. Crack In The Union Jack