Sono sempre stati una band coerente, coraggiosa e imprevedibile gli Estra. I loro dischi – “Mentre Il Mondo Era Fuori”, “L’Assedio n.2″, “Metamorfosi”, “Alterazioni”, “Nordest Cowboys”, “Tunnel Supermarket” – sono pezzi unici che vanno a formare una geografia del nord est e dell’Italia complessa e sfaccettata.
L’esigenza di tornare dopo diversi anni di silenzio discografico in tempi feroci come questi ha generato “Gli Anni Venti” un album registrato e finanziato grazie al crowdfunding su Produzioni Dal Basso (quasi 33.000 euro raccolti) che denuncia la decadenza di una società, la nostra.
Un tessuto sonoro corposo, muscolare , chitarre taglienti e cariche di effetti, basso aggressivo, batteria potente. Zero nostalgia, diverse significative concessioni melodiche, testi duri e diretti come mai prima, una testimonianza furiosa ma non completamente disillusa dei tempi moderni.
Eddy Bassan, Giulio “Estremo” Casale, Nicola “Accio” Ghedin, Abe Salvadori arruolano Giovanni Ferrario a co – produzione, chitarra e tastiere, Marco Olivotto al piano e si affidano alla voce narrante di Marco Paolini e all’Orchestra Regionale Filarmonica Veneta che esegue la Marcia Funebre dalla Sinfonia n. 1 in Re Maggiore di Gustav Mahler in “La Signora Jones”.
Le immagini si susseguono con rapidità adrenalinica tra titoli e sottotitoli a chiarire lo scenario. I ragazzi confusi e disperati di “Fluida Lol” e il Nero che emerge e avanza nella title track tracciando paralleli inquietanti al suon di “Dio, Patria e lei distorti dal megafono / La povertà girava sul grammofono“, il ritmo avvolgente e sferzante di “Che n’è degli umani?”, la salvezza mancata di “Nessuno come noi” e “Ti ascolto” riflessiva, intensa, profonda nella sua ricerca di senso e di umanità.
Il piglio punk di “Lascio Roma” scuote le coscienze con la sua foga e fuga tentata, come fa l’amara, poetica introspezione ne “Il Peggiore” del resto. La speranza espressa in “Monumenti Immaginari” lascia intendere che forse non tutto è perduto, “Notte Poi” chiude il cerchio chiedendosi: TU che farai per resistere e qui la parte recitata è affidata al Cattivo Maestro Pierpaolo Capovilla.
Si confrontano col proprio passato gli Estra, evocato in controluce in dettagli evidenti a chi ne conosce la discografia ma non restano imprigionati in ciò che erano. Guardano avanti, verso il 2026 possibile, descrivono un paesaggio desolante e provano a domandarsi dove ci siamo persi, che cosa siamo diventati, aggrappati a un filo “ma se guardi bene il filo è spinato” in un album che va controcorrente. Pungente, ribelle, profondamente rock.