Tornano in circolazione con un nuovo lavoro sulla lunga distanza anche i DIIV, che mancavano da parecchio, infatti, bisogna riavvolgere il nastro di cinque anni, giusto prima del covid, per ritrovarli sul mercato, quando, allora, usciva “Deceiver” il terzo album in questione, sempre bello come, del resto, i suoi precedenti.
Loro sono sicuramente una delle realtà più talentuose in ambito indie / shoegaze, perché, tramite una scrittura di successo, arrivano sempre al dunque, e, appunto, i tre dischi finora disponibili, trasudano di belle canzoni come pochi altri in circolazione.
Non sono ancora arrivati ad un pubblico particolarmente ampio, che meriterebbero assolutamente, poi tutta una serie di problemi, che hanno generato alti e bassi, le vicissitudini extra musicali del leader maximo, Zachary Cole Smith, che era, tra l’altro, l’intestatario, inizialmente, di un progetto solista, poi allargato a concetto di band.
Comunque quarto disco in cassaforte, che mantiene le premesse, e soddisfa le aspettative, album dal geniale titolo “Frog in a boiling water”, che continua inoltre, quasi come fosse un’appendice, il percorso fatto fino a qui. Quindi intrecci di chitarre da inizio anni 90 e quel piglio indie rock della medesima decade, tutte le peculiarità che fanno dei DIIV, a tutti gli effetti, una riedizione spontaneamente ben congegnata di quella visione sonora.
Forse qui, rispetto al recente passato, questa attitudine facilmente collocabile, assume toni più ricercati e sperimentali, si ascolti per esempio il singolo “Everyone Out”, indubbiamente musica da marchio DIIV, ma con una produzione più articolata e sovraesposta nei suoi quasi cinque minuti di durata.
“Raining On Your Pillow”, a mio avviso, uno degli episodi più significativi del lotto, porta una malinconia ragionata tramite arpeggi ossessivi, fa da contraltare la title track, per modo di dire, più solare con un ritornello sulla falsariga delle prime cose. “Somber The Drums” potrebbe essere una proiezione di come suonerebbero oggi i Nirvana, meno punk e più intellettuali, mentre “Soul-net” regala quel pathos riflessivo da racconto tormentato.
Un disco meno immediato, più studiato nei dettagli, come spesso si dice, quello della maturità, che è anche la strada, pur facendo sempre la stessa cosa, per non ripetersi e rinnovarsi.
Confesso di avere un piccolo debole per i DIIV, che trovo tra le cose più degne di nota dell’ultimo decennio, non tanto, ragionevolmente, per l’originalità della proposta, per cui non sono mai state disdegnate le evidente references, ma per il succitato talento di scrittura.
Zachary Cole Smith è sicuramente uno dei nuovi punti di riferimento di genere, tranquillamente paragonabile a blasonati colleghi.