Altro che solare lucentezza superficiale. L’ombra lunga della tragedia personale, infatti, pervade sin dall’inizio il secondo album in studio di Lauran Hibberd, “Girlfriend Material”. Non solo.
Lo skater rock dell’artista originaria dell’Isola di Wight, attraverso riflessioni autoironiche e blasé, è riuscito a trovare il favore di pubblico ed addetti ai lavori ben consapevoli del talento che alberga all’interno dell’opera nuova della Nostra. La scomparsa di suo padre nelle settimane precedenti l’album di debutto, quel “Garageband Superstar” che tanto aveva entusiasmato i cosiddetti esperti di settore, ha spinto l’artista britannica al ritorno ad una scrittura di canzoni come forma di sfogo e di riflessione sull’ambiente a lei circostante. Poco da dire.
Si tratta di una sorta di turbolenza emotiva, in pratica. “I Suck At Grieving”, per esempio, è un chiaro indicatore della base (auto)ironica dell’album, con le peculiarità e le sciocchezze quotidiane che si perdono nel mezzo di altre epoche. La chiara influenza di artisti di spicco del genere come Avril Lavigne e Blink 182 sono rimasti evidentissimi termini di paragone: tradotto in soldoni, tra le pieghe vivaci dell’album in questione si ha a che fare con accenni nostalgici e narrazioni che si tuffano profondamente nelle sfide moderne della vita dei primi anni Venti. È un po’ questo il mood principale di un album come “Girlfriend Material”.
Del resto, basta ascoltare pezzi quali “90’s kid” per rendersi conto di trovarsi di fronte ad una sorta di inno/ode ai primi anni Duemila. Laddove “Garageband Superstar” aveva esplorato temi simili, “Girlfriend Material” trova la propria strada abbracciando una direzione un tantino più “impegnata” e meno orientata al pop generico. Le ultime tre canzoni dell’album, in un certo senso, rappresentano un trittico dell’apertura di Lauran Hibberd verso nuove direzioni; il duetto “Pretty Good for a Bad Day”, con Alex Gaskarth degli All Time Low, è rafforzato dalla naturale chimica della coppia – una vera e propria impennata, una ballata destinata agli stadi che cattura questo svolazzare di stili, mentre “So Romantic” cambia marcia in un punto fermo più familiare (ed a tutto gas).
“Not the Girl You Hope”, invece, è una riduzione acustica che si addice a un album che trova le sue radici nella solennità sonora ma che riesce a sostenere una visione sardonicamente spensierata. In conclusione, potremmo definire “Girlfirend Material” come un lavoro pienamente riuscito. Lauran Hibberd è ritornata sulle scene musicali con con dodici tracce che trasudano schiettezza pop-punk da ogni nota. Anche se al netto di qualche episodio non propriamente a fuoco. E in questi tempi di fronzoli patinati e di brani piuttosto facilotti (nonché maledettamente fini a sé stessi), non è certo una cosa da poco.