Sono giorni intensi, sono giorni ricchi: la prima giornata del Primavera Sound ci ha travolti in un mix di danze e nostalgia (potete trovare il report completo qui). Nel corso della seconda giornata notiamo da subito un ammasso enorme di persone (neanche l’anno scorso da Rosalìa ne avevamo viste così tante), ed è subito chiaro che siano praticamente tutti in trepidante attesa di Lana Del Rey – ma andiamo con ordine.
Tocca a Ethel Cain inaugurare questa giornata, e non potevamo chiedere di meglio: maestosa nella sua semplicità, di una potenza che ci fa sentire minuscoli. Kefiah alla mano per mostrare supporto alla Palestina (d’altronde, l’artista si è sempre distinta anche per il suo fervido attivismo) e via, ci incute un rispettoso timore, come quello di un fedele che entra in chiesa.
Di chiese parlano curiosamente anche le The Last Dinner Party (qui sotto in foto), fanciulle che non vedevamo l’ora di vedere dal vivo. Tra una battuta sul Rocky Horror Show e dediche di canzoni ai reduci da traumi religiosi, il gruppo hanno portato sul palco un’energia unica, uno spettacolo di tutto rispetto che forse, secondo il nostro timido parere, meritava un palco più grande – se continuano su questa strada, stiamo sicuri che ci arrivano.
Grande grandissima sorpresa i Dogstar, che di bello non hanno solo Keanu Reeves al basso: bella energia, bella presenza, canzoni belle. Belli belli belli. Segnaliamo che quest’estate hanno ben quattro date in Italia: un salto, se fattibile, tocca assolutamente farne almeno una.
Tra le stelle della serata citiamo assolutamente anche i BadBadNotGood, Yo La Tengo e Faye Webster, purtroppo coincidenti un po’ con i Dogstar, un po’ tra loro, e un po’ anche con Troye Sivan. Corsa dopo corsa riusciamo comunque a vedere abbastanza per dire che sono tutti fenomenali (e disperarci perché vorremmo vedere molto di più). Faye fa quasi tenerezza, il pubblico in visibilio per questa ragazza timida ma palesemente emozionata di essere sul palco.
Arriva come una sposa (nel senso che si è fatta attendere), Lana Del Rey: sapevamo già che probabilmente sarebbe stata in ritardo e che sarebbe stato un caos assurdo provare a vederla in quel marasma di persone… Ma l’abbiamo fatto comunque. Dopo quasi mezz’ora di ritardo (dovuto a problemi tecnici, pare) la cantante inizia col botto con “Without You” (con problemi audio nel mezzo, per cui la voce si sentiva a tratti). Non pare inizialmente troppo convinta, rivolge più il microfono al pubblico che a se stessa (probabilmente si è stancata pure lei dei problemi tecnici), ma dopo un paio di brani la situazione sembra migliorare. Immancabile “Ride”, scenografie ben curate e ballerine che circondano la cantante di ventagli. Finita l’esibizione spiega di essere emozionata di essere lì e si scusa per il ritardo, con una classe e un’eleganza immacolata. Siamo frustrati per il ritardo e i problemi vari? Sì. Ci è piaciuta lo stesso? Assolutamente.
Diamo poi il via ufficiale alle danze con Jai Paul: tra lui, la quota hyperpop (Hannah Diamond), i Disclosure e Barry Can’t Swim non riusciamo a stare fermi un secondo (anche perché pure qui ci ritroviamo una coincidenza di tempistiche dopo l’altra). Impeccabili. Proviamo a fare un salto anche da Tirzah, risultandone abbastanza delusi, e arriviamo all’altra grande stella della serata, l’unica e sola diva experimental: Arca.
Si scatena il delirio, si fanno le tre di mattina (che dopo quasi due giornate intere di festival si sentono decisamente!) ma è impossibile smettere di ballare: una performer sensazionale, è proprio la bruja del nostro cuore.
E mentre siamo ancora in hangover da ballo, ci prepariamo ai pianti per l’ultimo giorno di festival: Mitski, American Football, PJ Harvey… E Liberato.