Cosa c’è di più bello per un musicista se non pubblicare il diciassettesimo album solista il giorno prima del proprio compleanno? Il disegno sulla torta, in questo caso la copertina, è un regalo di un amico ed artista pop come Sir Peter Blake, il quale tra le varie opere e realizzazioni annovera la copertina di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles. La Regina Elisabetta si innamorò del millefoglie di una nota pasticceria romana, il Modfather è amante dell’arte, si sa. Gusto inglese.

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Registrato presso il Black Barn Studio di Paul Weller, “66″ esce a distanza di tre anni rispetto all’ultimo “Fat Pop Vol. 1” ed è stato registrato in un triennio attivo per Paul Weller, ricco di produzioni e tour in cui è tornato a calcare i palchi europei ed italiani. Il 23 febbraio, giorno in cui ha anticipato l’album con l’uscita del singolo Soul Wandering, che vede la collaborazione di Robert Gillespie dei Primal Scream, in un video promo sulla sua pagina Instagram ci ha comunicato il suo intento: “I don’t think ‘What did I do on the last album?’, or ‘What did I do 20, 30, 40 years ago’ I’m not interested in that. It’only what I’m doing now”. Hic et nunc, questo è il
presente e a questo facciamo riferimento.

Un album in cui partecipano e collaborano Noel Gallagher in Jumble Queen, Graham “Suggs” McPherson dei Madness in Ship of Fools, Hannah Peel e la Britten Sinfonia per le produzioni orchestrali, Richard Hawley e Steve Brooks già amico dai tempi dei Jam.

Un album intimo ma al tempo stesso universale che include emozioni e personalità, da ascoltare seduti in un parco, coinvolgente e in cui il filo conduttore, oltre al soul e alla sperimentazione musicale welleriana, è la consapevolezza del vivere contemporaneamente l’oggi e lo scorrere del tempo come in My best friend’s coat, in Sleepy Hollow e nella raffinata e poetica dal gusto retrò A Glimpse Of You“, quest’ultimatra le migliori dell’album.

Paul Weller, che ormai non è più un giovanotto dandy, ma che la maturità nel corso della sua carriera solista l’ha reso ancora più cool and wise, ci ammalia con la sua ricerca musicale e con la sua profondità vocale e lirica. 

Richiami sonori degli Style Council sono percepibili, ma il cantante di Woking, tra il verde della contea del Surrey, ci ha abituati a suoni sempre nuovi e vivaci e ancora oggi ci consiglia di non fermarci come in Rise Up Singing, secondo singolo estratto dall’album, “you just carry on believing, don’t let that feeling die” e di lasciarci trasportare e di sognare come in Flying fish.

Se Nothing richiama il soul ed il mood di Whishing on a star inserita nell’album di cover Studio 150, Woke up ci riporta nelle ambientazioni più apprezzabili delle ballate folk, col suono ed un ritmo di una chitarra acustica che non smette mai di suonare. In Full flight, grazie alla dolcezza canora del trio di coriste di Brooklyn Say She She, Paul Weller ci regala un’ennesima versione onirica e spirituale della sua introspezione ed interpretazione della musica soul e ci invita a riflettere “in a world where lies become the truth”.

L’album si chiude con Burn Out che è come afferma Alexis Petridis sul The Guardian “a song which recalls Meddle-era Pink Floyd”. Con le prospettive e l’aiuto di Erland Cooper, eclettico compositore scozzese che fonde elettronica ed orchestra, del basso di Andy Crofts (The Moons) la realtà, la modernità, le considerazioni esistenziali, la sperimentazione ed il trasporto emotivo vengono fuori nella loro totalità.

Quando si parla di Weller bisogna indossare guanti di velluto di alta fattura, lontani da quelli indossati da Janine Lindemulder di “Enema of The State” dei Blink 182 o quelli di “Is this it” degli Strokes. Un fashion style che all’età di 66 anni Paul Weller esprime ancora con eleganza e conoscenza, saggezza e godimento, amore e dedizione alla vita. Tanti auguri Modfather e grazie ancora.