Tonnellate di dream-pop come Dio comanda, atmosfere vaporose e le solite (atomiche) armonie vocali. Sì. Il nuovo disco dei Blushing, “Sugarcoat”, è un album con i controfiocchi, dove la band di Austin (Texas) prova a mettere in campo, riuscendoci, tutte quelle peculiarità che aveva già evidenziato – con discreto successo – nel precedente “Possessions”.

Credit: Press

Del resto, brani quali il primo assaggio “Tamagotchi” o la stessa “Slyce” sono lì a testimoniare l’indiscutibile potenza sonora di un gruppo che sa decisamente il fatto suo. Gruppo che, tra l’altro, è formato da una doppia coppia di marito e moglie: ossia, Christina e Noe Carmona; Michelle e Jacob Soto. Un dettaglio non da poco.  

Detto ciò, negli undici pezzi che vanno a comporre la tracklist di “Sugarcoat” è quasi impossibile restare impassibili rispetto alla maestosità dark della title-track o di fronte alla cascata post-punk (ma con dei godibilissimi echi Novantiani) della splendida “Seafoam”. L’opera nuova dei Blushing, in pratica, ci dice che c’è ancora vita sul pianeta dream-pop e che non tutto è perduto per ciò che concerne la qualità musicale della cosiddetta scena alternativa internazionale. E cosa dire di “Say When” se non che possiede uno dei ritornelli più incisivi del lotto?  

Muoversi tra le coordinate a tinte scure di “Sugarcoat” equivale un po’ a ballare sotto la pioggia di un temporale estivo con un ombrello bucato: certo, si rischia di beccare un raffreddore epico, ma lo strappo alla regola vale l’intera posta in palio. Tradotto in soldoni, ascoltare il terzo disco della band statunitense significa perdersi in un immaginario dove nulla o quasi è come ci si aspetta. Prendete un brano come “Fizz”: potrebbe essere stato pubblicato tranquillamente nel 1995 e nessuno avrebbe nulla da obiettare.

Epperò, la proposta intrisa di indubitabile modernità portata avanti dai Nostri, aggiunge un tocco di oggettiva solennità che racconta un bel po’ di cose sulla cifra artistica dei Blushing. In parole povere, ci troviamo al cospetto di una formazione dannatamente interessante che ha sfornato uno degli album più variegati di questa prima parte di annata targata 2024. Le chitarre ombrose di “Charms” e, soprattutto, della traccia finale “Debt” (alla realizzazione dell’album ha partecipato anche Jeff Schroeder, ex Smashing Pumpkins) , vanno a concludere – in totale magniloquenza – un disco che va ascoltato dall’inizio alla fine con estrema devozione.

“Sugarcoat”, infatti, è un lavoro sfavillante, completo, regale, dove ogni sfumatura è stata confezionata a dovere. In definitiva, i Blushing, potrebbero aver realizzato uno degli album più belli dell’anno con la stessa nonchalance con cui si va a consumare un caffè da Starbucks.

L’Arte non ha poi bisogno di tanti fronzoli per essere sciorinata a dovere.