Continua il percorso solista di Fred Abong con l’album numero otto, in uscita meno di un anno dopo il buon “Fear Pageant“. Un cambio di passo e prospettiva piuttosto netto quello che si può ascoltare in queste dieci canzoni create interamente con l’aiuto di piano e tastiere, con il preciso intento di allontanarsi da qualunque certezza, di esplorare nuove strade a livello compositivo e di scrittura.

Credit: Fred Abong

La prima volta per Abong, strettamente legato alle amate chitarre e al basso che l’ha accompagnato su e giù da così tanti palchi, ma con molta voglia di mettersi alla prova con strumenti diversi che lui stesso ammette di non padroneggiare alla perfezione. Prova superata con umiltà e rigore in un disco che esplora le mille sfumature dell’amore, dal colpo di fulmine più classico a quello duraturo.

Un songwriting semplice e intuitivo  quello che caratterizza “Blindness” tra brani dall’indole ritmata come “Ice Blink” dal fantasioso e colorato arrangiamento, confidenziale in “The Dam”, “Buzzards” e “Listening” mentre  la title track  e “Heaven” sono le tracce più convincenti e complete,  la seconda ai confini con l’elettronica pura. “Paint Me” sobria e umorale con un’accattivante atmosfera è altrettanto valida, “Hector” con le tastiere scolpisce armonie di buona immediatezza.

 Riflessivo  il finale con la delicata “Penny Parade” e l’intensa “Wool”. Fred Abong si allontana momentaneamente ma con decisione dal rock praticato con Throwing Muses, Belly e il Kristin Hersh Electric Trio in un disco dalla calda vocalità e dalle melodie istintive, molto meno complesse di quelle che avrebbe potuto ottenere con la chitarra ma dall’esito non sempre scontato.