È uscito nelle scorse settimane “Five Ways to Say Goodbye”, dell’artista australiano Mick Harvey; si tratta dell’ultimo titolo di un catalogo da solista che si fa sempre più nutrito, sintomo di rinnovate ispirazioni e di una creatività mai sopita.
Certo, di tempo ne è passato da quando il Nostro furoreggiava a fianco di Nick Cave prima nei Birthday Party e poi come membro assai attivo dei Bad Seeds, e così pure la sua cifra stilistica ha visto modificarsi via via i suoi connotati per assumere le sembianze di un maturo cantautorato folk, dove vanno ottimamente a braccetto istanze classiche e moderne.
Questo nuovo progetto segue a distanza di un solo anno “Phantasmagoria in Blue”, l’interessante opera realizzata a quattro mani con la valente messicana Amanda Acevedo e ne conferma lo status di grande musicista.
All’interno di questo disco Harvey fa convivere non solo idealmente brani autografi e cover provenienti da artisti e mondi differenti, creando un apparato musicale e narrativo omogeneo e riconoscibile.
Ogni episodio quindi si permea felicemente del tocco del Nostro, ed è baciato da innata raffinatezza data non solo da soavi arrangiamenti al più orchestrali, ma anche da un’interpretazione che sa regalare di volta in volta intensità, profondità e calore, trattandosi a conti fatti di un album che verte sul tema dell’addio (a tal proposito il titolo è eloquente), dei ricordi e, perché no?, dei rimpianti, senza che di questo ci si debba vergognare.
Non sempre infatti si riesce a guardare a cosa si è lasciato indietro con il giusto distacco ma Harvey è abile a evitare struggimenti o mestizie, offrendo prima di tutto degli spunti di riflessione.
Ciò ci viene trasmesso nel migliore dei modi sin dalla traccia di apertura, la solenne “Heaven’s Gate”, e ribadito poi in altri episodi quali l’affascinante “The Ark of Darkness” e la nostalgica “When We Are Beautiful and Young” (l’episodio a mio avviso più emozionante della raccolta), corredata inoltre da un significativo videoclip.
Nel mezzo si trovano come detto alcune rivisitazioni che però sono rese in una maniera da sembrare ascrivibili allo stesso Harvey: da una “We Had an Island” dei Fatal Shore (cui viene conferita un’aura di classicità) alla countryeggiante “Nashville High” della musicista australiana Lo Carmen; dalla trascinante “Setting You Free” di David McComb all’evergreen “Like a Hurricane” di Neil Young, il livello si mantiene sempre su livelli alti.
Centrifugato assieme, materiale inedito e non, il tutto concorre a confezionare un lavoro che appare autentico e intriso di classe e spessore.