“Nevermind The Tempo” segna il ritorno della superband composta da Alberto Ferrari (Verdena), Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours) e Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e con questo nuovo album cresce la convinzione di trovarsi di fronte ad un progetto che durerà nel tempo, non un side project ma una vera e propria band che con una certa naturalezza sembra aver trovato una propria strada che li porta versi territori nuovi da esplorare.
La cosa che sorprende di più è come questo lavoro suoni diverso, diverso da quello che generalmente si ascolta, diverso da quello che gli interpreti hanno rappresentato nel loro percorso artistico, diverso dal panorama musicale italiano attuale e diverso anche dal loro precedente, dando la sensazione immediata di come il lavoro sia una immensa costruzione collettiva che mette insieme creatività, coraggio e voglia di divertirsi.
Costruzioni come ho detto che appaiono nuove anche rispetto al loro precedente lavoro ma che nella sua complessità apre sempre spiragli pop, a volte accennati, che valorizzano e rendono assolutamente attraente ogni brano che si ascolta in questo interessantissimo lavoro.
Il brano di apertura “Artiminime” è uno sfavillante delirio psichedelico ipnotico nel quale la voce di Alberto Ferrari, coadiuvato a sorpresa da Adriano Viterbini, traccia una linea da seguire mentre distorsioni, synth e sezione ritmica non danno tregua, seguito da “Water Tanks” con un riff contagioso nel quale fa capolino una melodia alla Eels mentre il brano sembra una versione potente, rarefatta e metropolitana di un sound africano.
Una sensazione di contaminazione con sonorità di altri paesi che affiorano come accenni o pennellate improvvise di colore e che rendono l’ascolto sempre affasciante e interessante come in “Italiapaura” tra cambi di ritmo, “Eno Degrado” dove ogni strumento da tensione al brano o “Mauritania Twist” nel quale anche la voce diventa uno strumento.
Una grande attenzione alla sezione ritmica ma questo lavoro rispetto al precedente è anche un album di canzoni, che hanno quindi un supporto melodico importante che li rende intercettabili immediatamente dall’ascoltatore, pieni di intuizioni e scelte improvvise e inaspettate che valorizzano il pezzo anche quando la linea melodica ha la meglio, come avviene per esempio in “Jim” che è un incredibile pezzo soul da brividi, applausi applausi applausi.
Chiudo il racconto dei brani con il pezzo di chiusura “Broken Mic” nel quale sorprendentemente è il pianoforte ad essere protagonista e al quale fa da contrappunto il basso mentre gli altri strumenti fanno capolino quasi a non voler disturbare, almeno fino all’arrivo della distorsione che si prende la scena, altro grande brano che chiude definitivamente lo spettacolo.
“Nevermind The Tempo” ha la caratteristica principale di essere assolutamente brillante, un lavoro nel quale i quattro musicisti mettono in mostra una grande qualità nella costruzione dei brani e nel modo con il quale li hanno arricchiti con scelte ritmiche coraggiose e arrangiamenti che hanno sempre un sapore nuovo.
I Hate My Village è un progetto davvero riuscito e per certi versi sorprendente, sperando che suoni come un complimento azzardo nel dire che questo lavoro risulta essere uno tra le migliori produzioni della loro brillante carriera.