La californiana Marina Allen si è fatta notare con un esordio come “Candlepower” che ne metteva in risalto le doti di maturità compositiva e interpretativa favorendo paragoni con Karen Carpenter e Laura Nyro evocate dalle fulgide armonie vocali e da una non comune ricchezza d’immagini proposte nei testi.
Sembrava e sembra tuttora una predestinata cresciuta ascoltando Joanna Newsom, Meredith Monk da cui forse ha mutuato quell’aura un po’ misteriosa d’artista d’altri tempi che permeava tutto il secondo album “Centrifics” sempre elegante ma più noir, meno innocente. “Eight Pointed Star” vuole essere nelle intenzioni di Marina un ritorno alla mentalità degli inizi, a quella capacità di osare con più esperienza alle spalle.
Nove brani prodotti da Chris Cohen che vedono la Allen spaziare dal folk più classico a quello alternativo, con momenti alt – pop e la voglia di cambiare che si fa strada nota dopo nota. “If I’m the same / You’ve just been looking the other way” canta nel primo pezzo, “I’m the Same” appunto, delicata e sincera ballata che definisce tono e temi di buona parte dell’album.
Storie di fiducia tradita, “Red Cloud” che torna alle sonorità di “Centrifics” rilette con più serenità, la vivacità folk – pop di “Swinging Doors” e la semplicità acustica di “Easy”, “Bad Eye Opal” convincente per l’intensità e l’atmosfera soffusa, intima evocata. Il ritmo sbarazzino di “Love Comes Back”, la sobria eleganza di “Landlocked” e la melodia notturna, allusiva di “Between Seasons” completano il quadro.
Non ancora il disco della maturità per Marina Allen ma un nuovo lodevole tentativo di cercare se stessa, affrancandosi definitivamente da paragoni onorevoli che rischiavano di diventare fin troppo pesanti. Onesta, capace di regalare alcuni bei momenti, “Bad Eye Opal” e “Between Seasons” su tutti, la ragazza cresciuta a Los Angeles si reinventa con una certa classe.