Fabrizio “Taver” Tavernelli, poliedrico artista emiliano (di Correggio), ha legato in modo indissolubile il suo nome agli A.F.A. e prima ancora agli En Manque D’Autre con cui era stato in grado di creare un amalgama sonoro e narrativo di prim’ordine, portando a compimento negli anni novanta un percorso che lo vide oltretutto in prima linea come ideatore di progetti molto importanti dal punto di vista storico e sociale (come dimenticare l’esperienza di “Materiale Resistente”, per i 50 anni della Resistenza?).
Aveva insomma già fatto molto per la causa, ma il suo animo inquieto e il temperamento vulcanico hanno fatto sì che non potesse rimanere a lungo nelle retrovie, e anche se i tempi sono inesorabilmente cambiati (riflettendosi oltremodo nella discografia), di fatto non ha mai smesso di ricercare, di plasmare, di veicolare nuove forme comunicative, per dare uno sguardo al solito lucido su ciò che gli gira intorno.
Dal 2010 sono tanti i titoli interessanti che il Nostro ha realizzato, lavori anche molto differenti fra loro, dove è riuscito a incanalare idee e concetti, sviluppando ulteriormente nuove forme musicali, nel segno sempre di una contaminazione di stili, dove spesso rock ed elettronica vanno a braccetto.
Un’evoluzione che si era affinata in dischi come “Fantacoscienza“, “Homo Distopiens” e “Algoritmi” e ora ultimata con il recente “Resa incondizionata”, che suona davvero come una dichiarazione di sconfitta, o meglio la constatazione che siamo ormai avvolti da un buco nero dal quale è difficile risalire.
Certo, il tutto occorre filtrarlo con la poetica incisiva, nuda e cruda (ma allo stesso tempo fortemente evocativa) di Taver e con la sua capacità di immaginazione/previsione nel sovraesporre diversi binari dell’esistenza, ma ad ogni modo è difficile, mettendosi all’ascolto di canzoni come l’iniziale “Gigantismo”, la seguente “Pomodori” (dove interviene lo spirito affine Giorgio Canali) o la più dilatata “Immolarsi è immorale”, non farsi trascinare dall’intensità delle liriche, dalla compattezza della musica e dall’oscurità delle atmosfere.
A tutto ciò concorrono diversi validi musicisti, a connotare quello che è in tutto e per tutto il suono di una band.
È un disco che trasuda (amare) consapevolezze, e che cerca di scuotere chi vi si imbatte, anziché avvilirlo, perché ciò che con grande autorevolezza e autenticità viene cantato (o declamato) ti arriva dritto come un pugno, senza scorciatoie, sia che i toni si abbassino fino a farsi struggenti in “Ci sta”, sia quando diventano deliberatamente diretti, in una “Atetigira” che invero risulta essere a mio avviso il pezzo meno interessante del lotto.
I brani, per struttura e arrangiamenti, mostrano tutti delle soluzioni particolari che rifuggono canoni o codificazioni, segno evidente della personalità dell’autore e del suo essere ormai assolutamente riconoscibile.
Definirei questo album, dove indole punk, sfondo sociale, suggestioni psichedeliche, tirate acide e vagiti elettronici convivono pacificamente, dannatamente rock nell’anima, mentre faccio più fatica onestamente a definire un cantautore delle qualità di Fabrizio Tavernelli, perché in verità non assomiglia a nessun altro all’interno del panorama musicale nostrano.