Un quadro crudo ed avvincente del mondo che hanno attorno, della città che li depreda e li sfama, che li seduce ed abbandona, mentre il loro rock ne assorbe, in maniera accattivante, le pulsioni caotiche, le fantasie auto-distruttive, l’inarrestabile fascino, le troppe promesse mancate, ma anche la sensazione che la verità sia sempre più debole, più fragile e più marginalizzata.

credit: Gabe Long

Le trame di questo disco rimbalzano tra i grattacieli, cadono giù nei bassifondi, attraversano il fiume, i ponti e le periferie, si nascondono negli angoli più oscuri e dimenticati, diventano un tutt’uno con le luci abbaglianti dei club, lasciando dietro di sé un filo prezioso di riflessioni psichedeliche, di riff melodici e di ritornelli taglienti, che riflettono, alla perfezione, il nervosismo e la tenacia di questi luoghi, l’angoscia e la tensione che vivono queste persone, i loro innumerevoli linguaggi, i loro volti, le loro parole, le loro ansie, le loro passate esperienze, tutto ciò che vedono, tutto ciò che toccano, tutto ciò che ascoltano, tutto ciò che sentono scivolare sulla loro pelle.

Vibrazioni diverse, più o meno positive, più o meno negative, che riverberano di realtà, di fatti, di eventi, di bassi e di chitarre che sono la nostra quotidianità e che donano a questi dieci brani una incredibile fluidità, oltre che lo spazio creativo per allargare i proprio orizzonti musicali verso sonorità ed ambientazioni di matrice shoegaze e noise-rock. Ciò rende il discorso magnetico ed eterogeneo, facendo sì che ciascun ascoltatore possa ritrovare sé stesso, stringere la propria storia, sentirsi parte di una vicenda assolutamente personale, soggettiva e familiare, percorrendola, però, assieme alla band e a tutti gli altri, in un cammino collettivo comune, con la consapevolezza che esso può essere inquietante e minaccioso quanto gli pare, ma, adesso, in questo preciso momento, mentre le canzoni si susseguono, una dopo l’altra, nessuno è solo, nessuno è rimasto indietro, nessuno è stato emarginato, nessuno ha rinunciato alle proprie passioni o ai propri sogni.

Ed anche se le promesse sono diventate ferro ed asfalto, vetro ed acciaio, immensi blocchi di silenzioso ed immobile cemento, c’è una nuova strada da percorrere, una nuova strada da iniziare, uno spazio urbano da rifondare, senza farsi masticare, senza farsi ridurre a brandelli, senza farsi intimorire, senza farsi istituzionalizzare, senza soccombere ai suoi ostili, violenti, prepotenti ed arroganti meccanismi di potere e di controllo. Quando, infatti, come in questa nostra epoca, le città sono sul punto di crollare, può diventare più semplice rimettere ogni cosa in discussione e rifare tutto da capo.