Va controcorrente James Vincent McMorrow e in un’epoca di album fatti al computer sceglie l’incontro tra persone, quelle che hanno assistito alle due serate alla National Concert Hall di Dublino dove i brani di “Wide Open, Horses” sono stati suonati per la prima volta nel 2023.

Credit: Rich Gilligan

Canzoni appena nate che allora esistevano solo in formato demo, una settimana di prove e un palco senza telecamere o cellulari (non ammessi). Il disco mantiene in buona parte quel sound genuino con un brano, “White Out”, proposto nella versione originale minimale e melodica.

Il resto di “Wide Open, Horses” è piuttosto uniforme, folk contaminato e ben fatto a volte con arrangiamenti più lineari: “Never Gone”, “Look Up!!!”, “Stay Cool”, “The Standard” ai confini col gospel come “Meet Me In The Garden” per fare qualche esempio, altre più complessi come “Give Up” e “Things We Tell Ourselves”.

“No One Gets What They Wanted” mette in  campo una grintosa chitarra elettrica, la title track uno dei brani migliori punta invece su atmosfere solari e malinconiche. Buoni anche il folk pop d’autore di “Day all the lights went out”, l’intensità di “Darkest Days Of Winter” e il dinamismo di “Call Me Back”.

Ha fatto tesoro di quei concerti intimi e raccolti James Vincent McMorrow ma non si è limitato a riproporre quanto gli spettatori avevano già visto e sentito. Ha costruito con pazienza sulle canzoni donando loro nuova vita tra falsetto e un sound caldo che ricorda quello degli esordi per scoprire un nuovo rapporto con la musica, libero da pressioni e aspettative.