Raph_PH, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Appena varcata la soglia del parterre della cavea dell’Auditorium, ciò che mi colpisce immediatamente è la varietà del pubblico: tra una moltitudine di cinquantenni nostalgici degli anni ’90, infatti, spiccano molti giovanissimi, segno che la musica degli Slowdive ha saputo conquistare anche le nuove generazioni. Tiro un sospiro di sollievo e subito il futuro mi sembra più luminoso, mentre mi passa accanto un tizio con la maglietta degli Obituary.

Durante l’esibizione del gruppo spalla, gli Any Other, mi accorgo di avere davanti a me nientepopodimeno che Simon Scott, il batterista degli Slowdive. È lì, tranquillo, a seguire lo spettacolo sotto il palco e a interagire con alcune sue conoscenti. Con sorpresa noto che nessuno fra il pubblico sembra riconoscerlo, a parte un paio di vecchi patiti che non si fanno sfuggire l’occasione per scattare una foto con lui.

Sarò lapidario: il concerto romano degli Slowdive è stato semplicemente magnifico. L’eccellente acustica della cavea non ha intaccato minimamente il sound unico della band britannica, che ha dispensato perle di shoegaze con invidiabile classe ed eleganza.

Ripasso al presente perché il ricordo del live è ancora vivissimo nella mia mente. Rachel Goswell si muove sul palco come una creatura eterea: sprizza leggerezza e serenità da tutti i pori, sempre sorridente mentre canta o suona la chitarra, le tastiere e il tamburello. La band viaggia col pilota automatico, non interagisce quasi mai col pubblico ma riesce comunque a incantare con un suono delicato per i brani più dolci (“Shanty”, “Kisses”, “Sugar For The Pill”) e incredibilmente potente per quelli più elettrici (“Star Roving” e “Slowdive” vengono eseguite in maniera magistrale).

È un concerto shoegaze in piena regola: gli Slowdive suonano con gli occhi fissi sulla pedaliera e trasformano la loro evidente timidezza in un fiume di emozioni che illuminano i presenti. Tante, forse persino troppe, le canzoni tratte dai due dischi post-reunion; le tracce da “Just For A Day” e “Pygmalion” sono pochissime, mentre, come è normale che sia, non mancano quasi tutti i classici di “Souvlaki”.

La data romana è stata una prova lampante della seconda giovinezza che stanno vivendo gli Slowdive. Gli è bastata un’oretta e mezza per dimostrarci, ancora una volta, di essere in grado di fondere passato e presente in un connubio perfetto. Una serata indimenticabile.