Emma Kupa iniziò la sua esperienza in una band nel non troppo lontano 2005 quando formò a Sheffield gli Standard Fare, un trio che si sciolse otto anni dopo la pubblicazione di un paio di album. Un gruppo interessante che vale la pena ascoltare con Emma voce e basso di una band con sonorità spesso associate al periodo C86.
Emma si trasferisce a Cambridge dove pubblica un EP e poco dopo con Mark Boxall (basso e tastiere) e Tom Barden (batteria) forma i Mammoth Penguin. Siamo nel 2015.
E’ proprio di quell’anno il loro primo album “Hide & Sick” che unisce l’ardore e la vigoria di Mark e Tom alla voce melodica e talentuosa della Kupa. Un paio d’anni dopo esce il concept “John Doe” con il gruppo che si allarga (Mammoth Penguins and Friends è infatti il nome della band) ospitando Sophie Bakerwood (Haiku Salut) e Joe Bear (Alto 45‘) che aggiungono l’elemento elettronico e Russell Lomas al violino. Nel 2019 esce l’album “There’s no Fight We Can’t Both Win” che segna un parziale ritorno alle origini, seguirà un periodo di inattività causato dalla pandemia che annega i presupposti per il tour e costringe la band allo stop forzato.
Con il “ritorno alla normalità” la Kupa ritrova l’ispirazione, forse anche lo sfogo per l’energia repressa nei lockdown: nascono di conseguenza i dodici brani di “Here”, un titolo che sembra testimoniare una sua presenza, forte e concreta.
Con l’arrangiamento dei brani da parte di tutti i componenti del trio, l’album risulta il loro migliore e già dalla opener “Species” si parte con l’acceleratore schiacciato. Un brano che già dalla sua atipica struttura attira la nostra curiosità, Emma lista una serie di aspetti positivi della propria (nostra) vita da considerare nei momenti in cui le cose non sembrano andare nel verso giusto.
I testi dell’album sono legati ad esperienze personali che possono essere facilmente percepiti come familiari da ognuno di noi.
E’ questo senso di ricerca di se stessi, le relazioni che durano una vita (“I Know The Signs”), i ricordi che affiorano scoprendo in una scatola i volantini di concerti tenuti in sale semivuote e i conseguenti sforzi fatti per trovare la forza e le motivazioni per continuare (“Flyers).
Le aspettative che non si concretizzeranno (“Blue Plaque”), la fiducia che va e viene nei rapporti di coppia (“Everything That I Write”).
La sofferente ballata “Here”con gli archi arrangiati da Mary Erskine mostra il lato romantico e vulnerabile della band, precede la piacevolissima “Nothing and Everything” con le due chitarre e le voci (si, c’è un coretto qui) protagoniste. “Help Yourself” è un incitamento per qualcuno che sta lottando mentre il tema dell’amicizia è proposto in “Old Friends” con la chitarra in levare e in “Lost Friends” brano voce e chitarre che indaga lo sconforto arrecato da una perdita improvvisa. “Success” tiene i ritmi bassi anche se l’energia è potente con l’aggiunta di un violoncello nel finale a ricamare piacevoli emozioni.
L’album si chiude con “A Plea For Kindness” una canzone di sostegno ai diritti della minoranza trans spesso vittima di violenze di ogni tipo da parte di persone con marcati atteggiamenti transfobici.
Tirando le somme “Here” è un ottimo album, la voce della Kupa è limpida, pulita, ogni emozione viene trasmessa al massimo della potenzialità. L’album, prodotto dal batterista Tom Barden è musicalmente ben calibrato, si percepisce il lavoro fatto con passione e quello spirito di rivalsa che caratterista chi ha subito un torto: la pandemia è alle nostre spalle: i Mammoth Penguins ci riprovano ma questa volta sarà un successo!