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Manic Street Preachers e Suede per 75 minuti a testa al Castello di Edimburgo. Ci sono occasioni nelle quali anche solo elencare i fatti fa capire la portata dell’evento che si è svolto, e questa, per fortuna, è una di quelle. Potevano solo esserci due ordini di inconvenienti: la pioggia e la sensazione che la lista delle canzoni che inevitabilmente sarebbero mancate coprisse un po’ l’emozione per quelle effettivamente eseguite. E invece la pioggia, ampiamente prevista fino al giorno prima, non si è presentata, e delle canzoni mancanti non se ne è curato assolutamente nessuno, vista la maestosità di entrambe le performance e la qualità dei brani che nelle rispettive scalette ci sono finiti.

La venue è spettacolare come ci si poteva immaginare: un’arena all’aperto da 8.500 persone con acceso e deflusso rapidissimi, ampio spazio per tutti e visuale perfetta da qualunque punto. Noi eravamo nelle prime file dei posti a sedere ma verso il fondo e, nonostante una certa lontananza dal palco, non abbiamo avuto alcun problema a vedere come si muovevano i vari musicisti. Anche l’acustica si è rivelata eccellente e l’unico piccolo problema è stato il passaggio frequente di persone che dovevano recarsi al bar o alla toilette e che toglieva un pochino di atmosfera al tutto. Non si può, comunque, parlare di un pubblico disattento e poco partecipe, anzi, la gente si è fatta sentire eccome con i gruppi, però, se 8mila persone sono partecipi e 500 lo sono un po’ meno, comunque quei 500 si noteranno.

Tocca agli Suede aprire le danze, alle 19.25 in punto come da programma. Brett e soci partono a tutta, con la scelta di “Turn Off Your Brain And Yell” come canzone d’apertura che mostra al pubblico quanto la band creda nel proprio materiale più recente. Si capisce subito che il quintetto londinese è in forma smagliante, con un frontman subito carico e gli altri musicisti che non hanno bisogno di scaldarsi ma mettono immediatamente tutta l’energia che hanno a disposizione. Dopo il brano d’apertura, il trittico “Trash”, “Animal Nitrate” e “The Drowners” porta letteralmente tutto il pubblico su un altro pianeta. Brett è indemoniato e sembra che dalla sua prestazione dipendano i destini del pianeta Terra. Onestamente, poter ammirare un artista di questo calibro mi ha dato dei tremori interni da brividi, le classiche farfalle nello stomaco, che si dice arrivino solo quando sei innamorato di un’altra persona ma io me le sento anche quando assisto a live di questo tipo. Ci tengo comunque a ribadire che gli altri non sono stati da meno, perché tutti gli strumenti hanno svolto un ruolo essenziale nella riuscita del set, grazie a una qualità e a un’espressività fuori dal comune nel modo di suonare di ognuno e a come venivano fatte interagire tra loro le diverse linee strumentali. Un concerto semplicemente irreale, impreziosito ulteriormente da due brani che hanno fatto il loro debutto in questo tour, ovvero “Sleeping Pills” e “The Wild Ones”, la prima incentrata sui giri di pianoforte e la seconda eseguita solo da Brett e Richard in acustico, e con la voce del leader che, in entrambi i casi, tocca vette di tecnica e emotività da stratosfera. Si finisce con una trascinante “Beautiful Ones” e tutto il pubblico che canta senza freni. I Manics sono ora chiamati a dare il meglio di sé per non far scendere la serata di livello.

Il trio gallese, come di consueto accompagnato da altri tre musicisti, non si tira certo indietro e si gioca subito “You Love Us” per mantenere al massimo la positività nei cuori di tutti. Anche qui, non si perde tempo ed è immediatamente chiaro che James, Nicky e Sean (quest’ultimo con una barba grigia che lo rende difficilmente riconoscibile) non hanno certo intenzione di risparmiarsi. Ovviamente, e giustamente, il sound è un po’ diverso da quello degli Suede, più luminoso e splendente, senza quelle venature cupe che caratterizzano chi li ha preceduti sul palco. Si sente anche una maggior varietà nei dettagli, ma anche lì è normale, fosse solo perché sono in sei a suonare invece che in quattro. È giusto e bello che si notino le differenze ma anche che, tra le due band, ci sia anche una sorta di filo che le unisce, e che obiettivamente non è facile spiegare a parole, ma c’è e tutti i presenti lo sentono. Venendo alle canzoni suonate, le due che seguono quella di apertura sono altrettanti classiconi che entusiasmano la platea, perché del resto quando ascolti dal vivo “Everything Must Go” e “Motorcycle Emptiness” cos’altro puoi fare? Mi soffermo un momento su quest’ultima, eseguita in un modo che definire magistrale non le renderebbe giustizia. Stasera era la mia nona volta coi Manics, e ovviamente ogni volta è stato eseguito questo capolavoro, ma stavolta c’è stato qualcosa in più, certamente un James più incisivo del solito nell’esecuzione della girandola di riff che caratterizza il brano e una band compatta come non mai. Davvero un qualcosa di fantascientifico. Toccata la vetta, i Manics comunque non scendono, ogni tanto abbassano un po’ l’intensità e il ritmo, ma quando lo fai con canzoni come “Suicide Is Painless” o “To Repel Ghosts” va benissimo così. E poi, a metà scaletta arriva lei, Catherine Anne Davies, ovvero The Anchoress, a duettare su capisaldi come “Little Baby Nothing” e “Your Love Alone”, aggiungendo ulteriore meraviglia con la sua voce splendida, che mette insieme calore, potenza e capacità di avvolgere l’ascoltatore. Davvero una performance di livello anche per lei, artista che mi coccolo da molto tempo e che stramerita che sempre più appassionati le riconoscano le proprie indubbie qualità. Non manca il sentito tributo di Nicky all’amico Richey, con il ricordo del fatto che il testo di “Elvis Impersonator: Blackpool Pier” era stato iniziato da lui, e poi a quel punto la band non può più sbagliare e anche le canzoni più recenti, normalmente meno apprezzate dai fan, non fanno certo una brutta figura in questo caso. Si chiude in bellezza con “If You Tolerate This Your Children Will Be Next” e anche se io sono un tradizionalista e avrei preferito che come ultima canzone fosse rimasta “A Design For Life” (comunque suonata nel corso della serata) esco dall’arena con l’entusiasmo alle stelle, e mi godo la magia del centro di Edimburgo la sera.

L’idea di questo tour insieme si è rivelata trionfale per le due band, perché, almeno stasera, si capiva che ognuno era spinto a dare il massimo, non per competizione, ma per far vivere ai presenti una serata realmente speciale, aggettivo usato un po’ a sproposito ultimamente, e che invece stavolta ci sta a pennello. Chi c’era, non si dimenticherà mai nella vita delle emozioni indescrivibili che ha provato.