Diamo il bentornato ai favolosi Echodrone, quartetto di San Francisco capace sempre di dispensare magie sonore ad alto tasso evocativo e spaziale. Ogni volta questa band svela lati nuovi della sua musica e del suo songwriting. In questo doppio album, infatti, c’è una prima parte dedicata a un soud che si fa fortemente visionario e ad ampio raggio, ma sempre nei canoni di una perfetta forma canzone, mentre le ultime 4 canzoni che diventano vere e proprie suite ambient, con un suono che si dilata e si fa puro e intangibile.

Credit: Bandcamp

La mia recensione verte solamente sui primi 8 brani quindi, visto che gli ultimi di cui parlavo, quelli ambient, a mio avviso sono una lunga coda musicale che serve per meglio gustare e assaporare quanto ascoltato prima, come se la prima parte fosse un viaggio e i restanti brani fossero proprio necessari al termine di questo percorso, per rifiatare, ripensare a quanto ascoltato e godere di nuovo, nella propria mente, le emozioni precedenti.

Questi veterani non hanno ancora perso il gusto di sperimentare, di divertirsi e di mettersi in gioco e ogni loro album è uno scrigno di emozioni che emergono ascolto dopo ascolto. Adoro la loro capacità di partire spesso con un’impostazione pacata, ma poi ecco che il suono si amplifica, si arricchise e diventa epico, rigoglioso, sonico e accattivante. In “The Curvature of Sound” compaiono elementi space-rock, ma anche momenti puramente dream-pop o shoegaze, così come frammenti progressive che s’imbevono di pura epicità (in questo caso il finale di “Energy” è davvero indicativo).

Il bello è che abbiamo a che fare con una band che sa mantentere altissimo il livello di attenzione dell’ascoltatore anche nei brani più lunghi, basti pensare a quella “Concentration” che apre il disco con i suoi 7 minuti e 30 secondi. Incedere elettronico e noi che entriamo sempre più nel mondo sublime e visionario del quartetto, che poi si lascia completamente andare. Noi seguiamo quelle tastiere senza opporre resistenza. Ma nelle canzoni successive troviamo arpeggi più morbidi, scie chitarristiche avvolgenti e melodiche arricchite sempre in modo prezioso, per sviluppare qualcosa di splendidamente armonico. A tratti le canzoni trovano l’abbrivio più sonico (“Joy”) , ma altre volte tutto rimane confinato in un mondo sognante, fiabesco, incantato (“Equanimy”). Preziossimo il lavoro al piano dispendato in “Investigation”, che sembra quasi guardare a una specie di gothic-rock, come se per un momento nella testa dei ragazzi americani ci fossero tanto i Sisters Of Mercy che i Depeche Mode.

“Mindfulness” mi riporta alla mente, per chitarre e alcuni giri melodici, i Mansun (ve li ricordate?) ma non è l’unico brano che mi rimanda al gruppo inglese vi dirò, visto che mi succede anche in “Tranquillity”, mentre sorprende la cover di Pat Benetar “We Belong” che mantiene magnificamente l’eleganza dell’originale, aggiungendo una potenza shoegaze che diventa letteralmente paradisiaca anche grazie a quella super melodia che il brano aveva già nella sua forma inziale.

Che dire…dopo tutti questi anni in pista gli Echodrone non hanno ancora perso un grammo di qualità. Bravissimi.