di Enrico Sciarrone
Ripartiamo da dove ci eravamo lasciati cinque anni fa . Da quel senso di smarrimento e disorientamento che albergava tra il pubblico della Kioene Arena di Padova nel 2019 (ultimo tour della band) dopo un esibizione intensa, forte e ricca, come sempre, anche di contenuti e di spunti di riflessione conclusa con monito sparato sullo schermo al buio che invita a lasciarsi alle spalle i fantasmi e pensare di costruire il futuro. Parole quasi profetiche a ripensarci oggi, con tutto quel che è accaduto nel corso di questi anni ,con un presente avvolto da crescenti tensioni internazionali e un futuro sempre più a tinte fosche. Ritrovarsi con i Massive Attack non è solo un esperienza musicale unica di altissimo livello, tra tante certezze e punti fermi, poche novità e qualche disappunto ma anche una occasione di ripercorrere una sorta di viaggio tra passato e presente per comprendere le evoluzioni interne , i cambiamenti e gli accadimenti non solo musicali ma anche sociali e politici dell’ultimo ventennio fino ai giorni nostri e quanto hanno inciso in tutti noi e nel nostro modo di vivere. Un confronto temporale quindi non solo di suoni ma anche di immagini attraverso una performance di arte visiva straordinaria per intensità e potenza evocativa che fa riflettere e pensare .
Questa volta non si è celebrata alcuna ricorrenza d’uscita, la dimensione rigorosamente festivaliera del tour europeo dei Massive purtroppo non ha previsto la proposizione di brani di nuova produzione, si è andati verso una performance ben costruita e delineata che ha attinto a mani basse su un repertorio eterogeneo che tocca le vette piu’ alte dei punti creativi della band senza tralasciare chicche e inediti che hanno entusiasmato il numerosissimo pubblico da sold out accorso nella splendida cornice monumentale di Piazza Sordello nel centro storico di Mantova. E come tutte le esperienze che ripartono, dopo un periodo di assenza, è stata sicuramente un occasione per una sorta di update sulla stato di salute della band ormai saldamente in mano ai superstiti 3 D e Daddy G che coaudivati da un consolidato gruppo di strumentisti, tra cui forse anche Tricky (era annunciato tra i musicisti presenti al tour della band ma, sinceramente, non posso dire di averlo visto chiaramente sul palco mantovano), hanno riaffermato (caso mai ce ne fosse bisogno) con una performance straordinaria, perfetta, senza quasi sbavature (fatta eccezione per un suono non perfetto in un paio di episodi come “Hym of the Big Wheel” e “Take it There” durante i quali gli affreschi e intonaci del Palazzo Ducale ne avranno risentito) in alcuni parti volutamente caotica nella parte ritmica e nella distorsione cupa e oscura delle chitarre elettriche, in altri parti subliminali, visionari ed eterei, la loro progenitura verso un genere come trip hop, sempre vivo e attuale e mai autocompiacente.
Detto che anche in questa occasione è stato l’album “Mezzanine” a farla da padrone con una riproposizione corposa (con ben 6 tracce tra cui l’iniziale “Risingson” e il rabbioso finale “Group Four”) , rimarrà nei nostri cuori e nelle menti l’inossidabile figura di Horace Andy, leggenda del reggae giamaicano, e la sua voce unica senza tempo in “Girl I love you” dall’album “Heligoland ed Angel”, una straordinaria Deborah Miller a fare egregiamente le veci di Shara Nelson nella riproposizione di due dei tre due brani tratti dall’album d’esordio, “Safe from Harm” e “Unfinished Sympathy”, i nuovi sodali del gruppo gli Young Fathers (recensiti in Agosto su queste pagine in occasione dello Ypsigirock 2023), che nel riproporre il brano “Voodoo in my blood”, si sono ritagliati un piccolo set di un paio di canzoni abbastanza interessanti, una monumentale “Karmacorma”, gli immancabili omaggi e cover a gruppi ispiratori Ultravox e il compianto Avicii ma soprattutto una ispiratissima Elizabeth Frazer, capace di distillare perle di assoluta intensità emotiva con i capolavori “Black Milk” e “Teardrop” e raggiungendo l’apogeo della serata (a mio modesto parere) con la riproposizione struggente della cover di Tim Buckley “Song to the Siren” (già da lei immortalata nel capolavoro dei This Mortal Coil “It ‘ll in tears “), il tutto, e non è affatto secondario dirlo vista l’importanza nel contesto del concerto, su un tappeto di immagini fatte di recenti crudeltà, efferatezze e dolore nei vari scenari di guerra a suggellare il messaggio di forte impegno sociale dei MA, forse il vero tema dominante della serata.
Non c’è spazio per altro, dopo quasi due ore di show si chiude, può bastare cosi.