E così Targa Tenco fu! Paolo Benvegnù ha conseguito quella per il Migliore Album in assoluto nell’edizione 2024 della più famosa Rassegna della Canzone d’autore italiana con il suo “E’ inutile parlare d’amore“.
Per molti si tratta di un riconoscimento forse tardivo, quasi di un Premio alla carriera mascherato, ma ciò andrebbe a sminuire il valore e l’importanza di un lavoro (l’ennesimo da parte sua) di pregevole fattura, appena appena più accessibile magari rispetto ai suoi precedenti ma senza che ciò sia andato a scapito della qualità.
Migliore Album in assoluto | |
Paolo Benvegnù – È inutile parlare d’amore | 62 |
Vasco Brondi – Un segno di vita | 50 |
Calcutta – Relax | 45 |
Daniele Silvestri – Disco X | 44 |
La Crus – Proteggimi da ciò che voglio | 35 |
Un Benvegnù meno ermetico, quindi, in grado di aprirsi in maniera più diretta senza tradire però il suo spirito poetico e la sua costante ricerca artistica; insomma, per una volta tutti gli ingredienti sembravano incastrarsi bene, facendogli presagire una possibile vittoria, nonostante gli altri autori in lizza fossero ugualmente “agguerriti”, forti di album comunque molto validi e interessanti.
Lo stesso Paolo, a tal proposito, di recente visto in una serata a Verona, impegnato com’era in un’intervista con breve set acustico allegato, scherzando e schernendosi un po’ mi confidò che uno come Vasco Brondi avrebbe potuto superarlo, relegandolo ancora una volta al ruolo di “secondo”!
Alla fine la sua affermazione è stata invece piuttosto netta, avendolo visto sopravanzare proprio lo stesso Brondi di ben dodici preferenze.
Vasco Brondi che, dopo l’esperienza “totalizzante” a nome Le luci della centrale elettrica, sta portando avanti un solido percorso da cantautore con tutti i crismi, e che con il recente “Un segno di vita” ha confezionato un disco sfaccettato e ispirato, pur lontano da certe spigolature del passato.
Per inciso, per quanto possa essere utile ai fini della narrazione, nella prima fase, quando si potevano indicare tre titoli, ho votato sia il suo disco che quello del futuro vincitore. Questo per dire che comunque da un punto di vista artistico c’erano i presupposti per un testa a testa appassionante, tuttavia devo ammettere che sarebbe stato per me un’ingiustizia (prendete le parole con la giusta cautela) se l’ex Scisma non avesse coronato il suo percorso al Tenco nemmeno questa volta, dopo aver più volte in passato sfiorato il bersaglio grosso.
Ciò non significa che se non fosse entrato nell’Albo d’oro della rassegna il suo nome verrebbe dimenticato, perché ciò che Paolo ha costruito in tanti anni di carriera non andrà per fortuna mai perso; al contempo però mi auguro che questa attenzione mediatica gli dia modo di farsi “scoprire” da un pubblico diverso da quello suo abituale, che potrebbe invero innamorarsi della sua grande caratura artistica.
Ieri, poi, scorrendo la home di Facebook sembrava quasi che per una certa musica, che poi è quella che sostanzialmente mi trova più in sintonia, si sia trattato di una sorta di rivincita, la giusta rivendicazione di quel mondo indipendente, alternativo, portatore di valori e di qualità senza tempo.
Ho letto sincere e commosse manifestazioni di stima, proprio sulla persona, e di questo io che lo seguo da tipo 25 anni sono particolarmente felice.
Bene nelle retrovie si è disimpegnato Calcutta, che partiva come outsider e che ha convinto un buon numeri di giurati, grazie alla sua proposta sempre fresca e accattivante ma via via in fase di modificazione, dopo il boom degli esordi come paladino della nuova musica indie tricolore.
Chiudono rispettivamente quarti e quinti nella categoria i totem Daniele Silvestri e La Crus, ormai solide certezze da queste parti, con nota di merito per il gruppo di Mauro Ermanno Giovanardi, tornato sulle scene dopo molto tempo senza smarrire le sue caratteristiche migliori.
Migliore Album in dialetto | |
Setak – Assamanù | 74 |
Davide Van De Sfroos – Manoglia | 53 |
Eleonora Bordonaro – Roda | 47 |
Massimo Silverio – Hrudja | 33 |
Mesudì – Nodi | 9 |
Nella categoria “Migliore Album in dialetto” scrissi nel mio post precedente che quest’anno mi sembrava ci fossero, a livello per lo meno puramente numerico, meno candidature forti rispetto al recente passato, ma è chiaro che quello del dialetto e delle lingue minoritarie è un bacino talmente ampio che le fragorose sorprese sono sempre in agguato, e per me, che sono amante di determinate istanze world, a cui piace setacciare il sotterraneo per far emergere le tante gemme che il nostro retaggio culturale e storico può regalarci, questo è fonte sempre di grande piacere.
Spiace che questa categoria sia stata segnata dalla questione sollevata da Piotta (sostenuto da tanti giornalisti e appassionati), escluso perché il suo album non è stato ritenuto in dialetto, lui che della romanità è sempre stato un forte epigono. Uno scambio tra artista e Club Tenco destinato a non fermarsi qui e a lasciare qualche strascico, ma speriamo almeno che possa essere utile a portare delle migliorie (su questo argomento si sono espressi dei pareri autorevoli, indipendentemente dal senso di solidarietà e dal loro grado di “amicizia” con il cantante stesso).
Che il disco di Tommaso Zanello fosse denso di significati e portatore di una storia intima ma sentita da molti è indubbio, e al di là di premi e rassegne, è sempre buona cosa che lavori di qualità arrivino a più orecchie possibile, ma tornando alla competizione, credo non ci si debba “scandalizzare” della Targa ottenuta da Setak con il suo “Assamanù”.
L’artista abruzzese non è nuovo a lavori di pregevole fattura, dove l’aspetto narrativo e musicale viaggiano di pari passo, dove ogni nota riesce a riscaldare gli animi, e quindi direi che il suo è al pari di quello di Benvegnù un riconoscimento giusto e meritato, nonostante fossero interessanti anche gli alti titoli giunti in finale a contendersi la prestigiosa Targa.
Personalmente, ad esempio, ho sostenuto sin dall’inizio il lavoro del friulano Massimo Silverio, autore di un album “alieno” in cui arcaico e moderno si incontrano meravigliosamente creando un unicum sonoro. Credo che sia un artista destinato a crescere sempre di più, sulla falsariga della (giustamente) acclamata Daniela Pes. Come emergente a certi livelli direi che si è fatto assolutamente valere, anche se nel computo dei voti lo hanno sopravanzato il veterano Davide Van De Sfroos (arrivato secondo, comunque a debita distanza da Setak) e la siciliana Eleonora Bordonaro, che sembrava alla vigilia avere discrete chances per aggiudicarsi la Targa in virtù di un album pieno di vita, di storie e di passione, interpretato e suonato magnificamente.
In coda sono finiti i Mesudì, artefici di un lavoro dal sapore corale, dove le voci delle protagoniste e gli strumenti si fondevano coinvolgendo oltremodo l’ascoltatore.
Migliore Album opera prima | |
Elisa Ridolfi – Curami l’anima | 64 |
Lamante – In memoria di | 54 |
Marta Del Grandi – Selva | 50 |
Andrea Satta – Niente di nuovo tranne te | 43 |
Coanda – Le vite altrove | 6 |
Venendo alla categoria “Migliore Album opera prima“, devo salutare con grande entusiasmo l’affermazione della valente Elisa Ridolfi, proprio perché totalmente rapito a suo tempo dall’album “Curami l’anima“.
Questa sezione è decisamente quella che più vorrei fosse valorizzata, perché da qui, anche semplicemente scorrendo i nomi dei vincitori delle vecchie edizioni, sono passati artisti destinati poi in alcuni casi a segnare un’epoca.
E pazienza se può aver inciso nel primo posto di Elisa Ridolfi la rinuncia in corsa a gareggiare per la Targa di Andrea Satta, grande voce e mente dei Têtes de Bois (ensemble romano che da queste parti è stato più volte meritatamente tributato), perché ad ogni modo rimane il valore insindacabile della sua proposta che dovrebbe in tal modo scongiurare levate di scudi.
Tutti artisti che, è bene sottolinearlo, nel loro hanno messo in campo opere assai pregevoli, a partire dalla giovane Lamante, classificatasi seconda, autrice di un disco intenso, viscerale, personale e in possesso di una voce capace di graffiare e fare male; per non dire di Marta Del Grandi, apprezzata pressoché in maniera unanime dalla critica specializzata e dello stesso Andrea Satta, che aveva raccolto già parecchi voti prima del suo ufficiale “passo indietro”.
Meritano una citazione, ma soprattutto meritano più di un ascolto attento i Coanda, gruppo barese (composto da Marcello Colaninno, Toni Dedda e dal poeta Cosimo Lamanna) che in “Le vite altrove” ha promosso e rappresentato l’essenza stessa della canzone d’autore, realizzando un album suggestivo ed elegante, grazie anche al contributo di validissimi collaboratori.
Migliore Album di interprete | |
Simona Molinari – Hasta Siempre Mercedes | 60 |
Perturbazione – La Buona Novella (dal vivo) | 56 |
Joe Barbieri – Vulío | 39 |
Chiara Raggi e Giovanna Famulari – In punta di corde | 31 |
Agnese Valle – I miei uomini | 29 |
Alberto Patrucco – AbBrassens | 19 |
La sezione dove ha regnato il maggior equilibrio, con due contendenti divisi da sole quattro preferenze, è stata quella per il “Migliore Album di interprete“, che ha visto infine trionfare la “solita” (in senso buono, ovviamente, sul suo immenso talento non c’è da discutere) Simona Molinari in luogo dei Perturbazione, alle prese con una sfida improba, quella di rivedere un caposaldo della nostra musica come “La buona novella” del sommo Fabrizio De André.
Un’impresa alla fine riuscita quella di Tommaso Cerasuolo, Rossano Lo Mele e soci (a cui ho dato il mio voto al ballottaggio), che con grande rispetto si sono accostati a un disco così profondo e storicizzato.
Ciò premesso, Simona Molinari non dico si sia superata, ma quantomeno ha confermato per l’ennesima volta la sua capacità di fare proprie dei momenti altrui, e di intercettare delle storie assolutamente significative che meritano di essere omaggiate (come nel caso di Mercedes Sosa).
Anche gli altri titoli giunti in finale partivano da presupposti particolarmente stimolanti, ognuno con una propria particolarità.
Vale per Joe Barbieri (che avevo recensito trovando il suo tributo alla storia della canzone napoletana assai riuscito e convincente); per le due “sorelle in musica” Chiara Raggi e Giovanna Famulari, capaci di donare con grazia autentica e la giusta leggerezza il proprio tocco personale a canzoni anche molto differenti fra loro, rendendo il tutto coeso e piacevolissimo all’ascolto; per la bravissima Agnese Valle (alle prese con iconici brani del repertorio di alcuni fra i più grandi cantautori italiani), e per Alberto Patrucco, uno degli artisti più polivalenti che possiamo vantare, il quale si è cimentato con il mostro sacro Brassens.
Migliore Canzone | |
La mia terra – Diodato | 83 |
L’oceano – Paolo Benvegnù (feat. Brunori Sas) | 59 |
L’uomo nel lampo – Paolo Jannacci e Stefano Massini | 40 |
La promessa della felicità – Federico Sirianni | 31 |
La fioraia – Agnese Valle | 17 |
Venendo alla categoria “Migliore Canzone” come accade spesso e volentieri, è molto difficile fare pronostici o anche semplicemente, almeno per quanto mi riguarda, indicare con certezza le preferenze, tanto che, lo ammetto, brani a cui avevo pensato (e che mi avevano colpito molto, come “La vita com’è” di Brunori Sas, “La città vista dall’alto” di Zibba, “Carnevale” di Appino o “Trastevere” dei Tiromancino) non hanno ottenuto i voti utili per arrivare in finale.
Ha vinto la Targa – con notevole margine, giusto dirlo – un cantautore assai raffinato e capace come Diodato, la cui “La mia terra” già si era fatta notare in un contesto assai importante e significativo come “Amnesty International”, dove anche lì vinse il Premio come miglior canzone sezione Big.
Il brano, facente parte della colonna sonora del film dai rilevanti risvolti sociali “Palazzina Laf”, possiede d’altronde grande forza comunicativa, non sorprende quindi che anche qui abbia convinto gran parte della giuria; al secondo posto si rivede Paolo Benvegnù (“L’oceano”, in cui interviene Dario Brunori per un duetto sincero e vibrante, è però solo una parte di un album splendido come il più volte citato “E’ inutile parlare d’amore”), e a seguire altri pezzi che sento di consigliare vivamente: dalla cruda e struggente insieme “L’uomo nel lampo” di Paolo Jannacci e Stefano Massini, alla delicata “La promessa della felicità” in cui Federico Sirianni da’ ulteriore prova di come si possano usare al meglio le parole tra lirismo e intimismo, fino a “La fioraia”, inedito scritto da Pino Marino (a proposito di ottimi rappresentanti della nostrana canzone d’autore) che ha impreziosito il bellissimo album di Agnese Valle, il sopra citato “I miei uomini”.
Migliore Album a progetto | |
Sarò Franco – Canzoni inedite di Califano | 63 |
17 fili rossi + 1 – Ricordando Piazza Fontana | 48 |
Parole liberate vol. 2 | 39 |
Shahida – Tracce di libertà | 37 |
Stagioni. Tributo ai Massimo Volume | 30 |
Chiudiamo in bellezza con una categoria, quella degli “Album a progetto”, che mai come quest’anno, mi vien da dire, ha visto in lizza dei lavori assolutamente degni di nota, al punto che è stato davvero complicato anche in questo caso indicarne solo tre nella prima fase, e poi ovviamente uno al ballottaggio finale.
Ha vinto il progetto dedicato all’indimenticato Franco Califano, e col senno di poi posso comprenderne le ragioni, ma sul momento non lo avrei dato tra i favoriti.
Sia chiaro, è un’iniziativa lodevole ed è sempre emozionante vedere espressa l’arte del Califfo, però ugualmente meritevoli risultavano essere “17 fili rossi + 1 – Ricordando Piazza Fontana”, “Parole liberate vol.2″, che ha proseguito nel solco del capitolo precedente forte di un pool di interpreti di prim’ordine, lo splendido “Shahida – Tracce di libertà”, dal respiro internazionale per un tema che non può lasciare indifferenti, e “Stagioni. Tributo ai Massimo Volume”, in cui tanti esponenti della musica alternativa italiana hanno reso omaggio con trasporto e passione alla grande band di Emidio Clementi.
Il fatto che ognuno di questi progetti abbia accumulato un buon bottino di preferenze, è indicatore dell’alto tasso qualitativo messo in campo.
Cala quindi il sipario su un’edizione delle Targhe Tenco che, al netto di polemiche anche accese, ha dimostrato che la canzone d’autore italiana gode di buonissima salute.