Credit: Eva Rinaldi, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

di Monica Melissano

Mentre aspettiamo il calar del sole, stipati nel settore dei posti in piedi, un omone se ne esce con: “ma Don’t You la fanno?” Lo guardo di traverso da sopra il mio spritz: “mi sa che ha sbagliato concerto“.

Mi chiedo in quanti qui abbiano ascoltato “Future Past” e “Danse Macabre“, sappiano chi è Erol Alkan o almeno Graham Coxon. Li avevo persi di vista anche io gli ormai quattro di Birmingham, pure essendo stata una duraniana a tutti gli effetti, da sempre convinta che non fossero la band per ragazzine che i media italiani, complice lo stalkeraggio molesto di Red Ronnie, volevano dipingere a metà anni ‘80.
Ed è stato un bel ritrovare negli album di questo decennio quella curiosità attenta a quel che si muove attorno: suoni, arte, tecnologie (il video di “Invisible”, uno dei primissimi a sperimentare con l’AI). Quanto avrei voluto ascoltare stasera “More Joy”, l’inno alla gioia versione manga con le giapponesi riot girls CHAI!
Ma qui e ora è tempo di celebrazioni, e le loro sette vite stasera i DD le tirano fuori tutte. La cosa pazzesca è che balzi temporali di 40 e passa anni, come fra l’opening di Velvet Newton e la successiva “Waiting for the Nightboat”, appaiano naturali e privi di sforzo, forse come saltare sulla Luna in assenza di gravità.

C’e’ la “dovuta” e sempre macchiettistica “Wild Boys”, per fortuna a inizio set accoppiata alle giungle dello Sri Lanka di “Hungry Like the Wolf”, c’e’ il medley di “Lonely in Your Nightmare “e “Super Freak”, aka “Super Lonely Freak” da “Danse Macabre”, che fa un po’ scena finale di “Little Miss Sunshine” e con “Notorius” celebra il periodo funk, con Simon che chiede se abbiamo le “scarpe da ballo“, a un pubblico che ballerebbe anche a piedi nudi, tanta è l’energia che emana da un palco su cui loro, ma anche i musicisti e le splendide coriste, sono evidentemente carichi, comunicativi, se la stanno godendo insomma e si vede, e vogliono che tutti i 10mila presenti se la godano altrettanto.

La doppietta “Friends of Mine / Careless Memories” è l’apice, “Friends of Mine” è il vero inno generazionale scritto da Le Bon, più di “Planet Earth”. Testo spigoloso e infarcito di citazioni molto british alla cultura e alla società di inizio ‘80: “Rocky Picture has lost his gun Leave him out now he’s having fun” per poi planare sul rabbioso “why don’t they drop the bomb?“, il terrore impotente di una generazione troppo spesso accusata di essere disimpegnata, che pero’ ha fatto il Live Aid, si è schierata contro l’Apartheid, e ha visto crollare il Muro di Berlino (nella mia camera da teenagers c’era il poster gigante dei Duran’s allegato ad Arena accanto a quello altrettanto gigante di Reagan e Gorbachev che si stringevano la mano).

“Careless Memories” e “The Chauffeur”…attenzione, sono esattamente le stesse versioni di “Arena“, chiudendo gli occhi si potrebbe credere di essere in “As the Lights Go Down”, il monumentale e indimenticabile doc di Russel Mulcahy. Peccato che la versione del video di “The Chauffeur” proiettata sia censurata, senza la splendida danza newtoniana a seno nudo di Perri Lister, capisco che per un pubblico composto anche da famiglie con figli non sia il caso di spingere sull’acceleratore. Completamente riarrangiate invece “New Moon on Monday”, con una prima strofa ridotta all’essenziale e rallentata, e “(Reach Up for the) Sunrise”, talmente acida e gospel da poter essere una bonus track in “Screamadelica“.

Sul medley “Girls On Film / Psycho Killer” mi aspetterei di veder comparire sul palco Victoria De Angelis, che ha suonato nella cover dei “Talking Heads” in “Danse Macabre”. Nulla, sarà impegnata in qualche dj set nell’emisfero sud, ma va benissimo lo stesso, è un finale perfetto che unisce futuro passato e ancora futuro su toni rosso carminio.

I bis sono quelli che tutti ci aspettiamo, con “Save a Prayer” illuminata su richiesta di Simon dalle torce degli smartphone (ma io ho usato l’accendino!), e “Rio” che è la festa, il sorriso smagliante della modella di Patrick Nagel. Si potrebbe perfino chiamarla felicità.
Tutto perfetto, eppure mi è rimasta la voglia di qualche scelta più azzardata, come a Genova nel 2005, quando tirarono fuori dal cilindro “Sound of Thunder”, brano “minore” dal primo album ispirato da un racconto di Ray Bradbury. “The world spins so fast that I might fly off“.

Per chi può, il concerto di Halloween al Madison Square Garden di New York che i Duran Duran hanno da poco annunciato sarebbe il vero appuntamento da non perdere, per godere del loro lato più challenging, unconventional e free.