Un talento cristallino e una personalità imperscrutabile. Le canzoni sopra ogni cosa. Cassandra Jenkins da Brooklyn, in pratica, è una musicista old school, con i piedi bien piantati a terra e delle note art-pop che ne elevano – di volta in volta – la qualità indubitabile della propria proposta musicale. Il disco precedente, “An Overview on Phenomenal Nature”, era stato un piccolo gioiellino sonoro, uno di quei lavori che convincono – chi ascolta attentamente, ça va sans dire – di trovarsi al cospetto di un’artista vera.
Con queste premesse, dunque, “My Light, My Destroyer” – questo il titolo del terzo album in studio pubblicato dalla Nostra – non poteva essere altro che l’ottima prosecuzione di un percorso iniziato sette anni or sono e che ha reso la Jenkins uno dei nomi più interessanti della scena indie-rock internazionale. Nei tredici brani che vanno a comporre l’opera in questione, infatti, si respira un’atmosfera dannatamente vellutata, in cui ogni dettaglio è propedeutico alla buona resa finale del terzo capitolo discografico della cantautrice statunitense.
Il trittico iniziale, formato da pezzoni quali “Devotion”, “Clams Casino” e “Delphinium Blue”, riesce a mettere subito le cose in chiaro per ciò che concerne la qualità intrinseca di questo “My Light, My Destroyer”: ovvero, un art-pop come Dio comanda e “La Grande Mela” perennemente sullo sfondo, come una sorta di eterna scenografia cinematografica. “Clams Casino”, in particolar modo, rappresenta uno dei momenti chiave dell’album. Si tratta, infatti, di un brano che sciorina sin da subito quelle che sono le caratteristiche più preponderanti del repertorio Jenkinsiano: ossia, creare un mood che sia, allo stesso tempo, patinato e ruvido. Il tutto condito da delle taglienti linee di chitarra che sembrano partire quasi in sordina e che mettono in evidenza l’estrema cura per i dettagli di Cassandra.
In parole povere, “My Light, My Destroyer” è la tesi di laurea della cantante a stelle e strisce. Come potremmo definire, altrimenti, un disco che spazia su più fronti sonori senza far perdere mai la propria identità all’artista che lo ha partorito? E cosa dire di brani quali “Petco” o del (bellissimo) primo singolo estratto, “Only One”, se non che contribuiscono – in maniera quasi decisiva – a rendere ancor più accattivante un album che è senza ombra di dubbio uno dei migliori di questa prima metà di 2024? E lo stesso discorso, se vogliamo, potremmo estenderlo pure a quella bella marcetta che risponde al nome di “Tape And Tissue”.
Insomma, il ritorno di Cassandra Jenkins sul proscenio del mainstream non è stato affatto vano. Tutt’altro. “My Light, My Destroyer”, infatti, è un lavoro con i controfiocchi che riuscirà ad ingolosire anche chi è più o meno a digiuno rispetto al corposo (oramai) bagaglio musicale della Jenkins. Un album regale. Come un tramonto estivo dalle parti di Manhattan.