Secondo la CBS il debutto dei Clash suonava tanto di merda che non meritava di essere pubblicato negli States.

Nonostante questa scelta “The Clash” finì per vendere più di centomila copie d’importazione e allora fu finalmente fatto sbarcare sul mercato nordamericano, però (i) ormai era il luglio del 1979, quindi nel frattempo Strummer & co. avevano anche registrato e pubblicato “Give ‘Em Enough Rope”, (ii) con una tracklist molto diversa rispetto all’edizione originale.

Insomma chi da allora comprò “The Clash” negli USA – diciamo “The Clash (US version)” – si trovò per le mani qualcosa di sostanzialmente diverso rispetto a quanto commercializzato due anni prima dall’altra parte dell’Atlantico.

Si tratta di una pubblicazione che, a ben vedere, assume una propria autonoma dignità e rilevanza, e che è parecchio interessante.

Rispetto alla scaletta inglese sparirono “Deny”, “Cheat”, “Protex Blue” e “48 Hours”; “White Riot” rimase, ma nella versione singolo (quella, per intendersi, che si apre con il suono della sirena di un’auto della polizia).

Furono inseriti alcuni brani registrati successivamente a “The Clash” e che sul mercato americano non erano ancora arrivati: “Clash City Rockers” e la sua b-side “Jail Guitar Doors”, “Complete Control”, “(White Man) In Hammersmith Palais” e “I Fought The Law” – che fu anche adottata come singolo trainante. In più, almeno all’inizio, venne incluso con l’album un 7? con su” “Gates Of The West” e “Groovy Times”.

Tanta roba, dal punto i vista qualitativo e quantitativo. L’intervento della CBS sulla tracklist fu, quindi, radicale, avvenne con il consenso della band pur dopo i consueti scazzi. L’etichetta intendeva semplicemente rimaneggiare un prodotto che a lungo aveva ritenuto scarso, per correggerne i difetti e renderlo – a suo dire – più interessante.

Il risultato, pur se dal punto di vista “filosofico” si tratta di una compilation, fu (ed è ancora) ottimo sotto diversi aspetti.

Così messo, infatti, l’album (da un lato) non rischia di essere confuso con la pubblicazione inglese (insomma non ci sono dubbi su quale sia il vero debutto di Strummer, Jones & co.), e comunque (dall’altro lato) è un’uscita che tiene conto del tempo trascorso, come ad avvertire il pubblico statunitense che i Clash non erano nati con “Give ‘Em Enough Rope” (agli occhi di molti americani di fatto era così) e che prima di allora la band aveva una storia che valeva la pena scoprire.

In questo, chiunque prenda in mano la US version si può rendere conto che rappresenta i Clash in modo più vario e dinamico rispetto a “Give ‘Em Enough Rope” e come, nel farlo, finisca per preparare l’ascoltatore a “London Calling“.

Sul presupposto di voler mettere le mani a tutti i costi su “The Clash”, furono omessi quegli episodi che effettivamente suonavano più datati ed embrionali. “Deny”, “Cheat”, “Protex Blue” e “48 Hours” stanno benissimo dove stanno, nel 1977: due anni più tardi finirono per fare spazio ad altro, e se non loro quali?

Anche le aggiunte sono molto sensate: “(White Man) In Hammersmith Palais” probabilmente è, in assoluto, tra i migliori 10 brani di sempre dei Clash e si sposa bene con “Police & Thieves” nell’anticipare gli spunti rocksteady di “London Calling”.

Sulla stessa linea “Clash City Rockers”, che pur essendo musicalmente già vicina a “Give ‘Em Enough Rope” rispetto a qualunque altra cosa, comunque menziona Prince Far I e, nel titolo, i rocker giamaicani. È anche un importante tassello nella mitologia dei Clash – e fu scritta proprio per contribuire a crearla – quindi piazzata in apertura fa un effetto notevole.

Anche “Complete Control” è auto-narrazione, il fatto che sia stata messa proprio dopo il brano al quale si riferisce direttamente (“Remote Control”) è di per sé un esercizio di malizia; comunque rende al massimo dal vivo, si veda “From Here To Eternity” Live (dove prende un altro piglio anche grazie alla incontenibile linea seguita dal basso di Paul Simonon).

Per lo stesso motivo principalmente letterario, Strummer e Jones ripescarono “I Fought The Law”, scritta da Sonny Curtis dei Cricket quasi due decenni prima, consegnandola ai posteri; “Jail Guitar Doors” è sottovalutata, ma di fatto è il prototipo del punk rock a stelle e strisce degli anni ’90 (un caso?), “Gates Of The West” rimane (quantomeno) una delle migliori b-side dei Clash e vive di un’epica tutta americana, “Groovy Times” un ottimo divertissement che vede nel futuro, verso “Sandinista“.

Insomma “The Clash (US version)” non va certo preso come un sostituto di “The Clash” ma nondimeno è un incrocio riuscitissimo tra arte e marketing, (ironicamente) qualcosa a cui i Clash ambirono sempre nel corso della loro storia fulminante.

L’articolo nella sua forma originale è contenuto su ‘Non siamo di qui’ che ringraziamo per la gentile concessione

Pubblicazione: 26 luglio 1979
Registrazione: 1976–1979
Genere: Punk rock
Lunghezza: 43:20
Label: Epic
Produttori: Mickey Foote, Lee Perry, The Clash, Sandy Pearlman, Bill Price

Tracklist:

  1. Clash City Rockers
  2. I’m So Bored with the USA
  3. Remote Control
  4. Complete Control
  5. White Riot
  6. (White Man) In Hammersmith Palais
  7. London’s Burning
  8. I Fought the Law
  9. Janie Jones
  10. Career Opportunities
  11. What’s My Name
  12. Hate & War
  13. Police & Thieves
  14. Jail Guitar Doors
  15. Garageland