I Beachwood Sparks tornano dopo dodici anni per regalarci un gioiellino psych-country.

Credit: J Goodrich

Sarà che ho un debole per le armonie vocali, per il country e per i losers ma “Across The River Of Stars” per me è un piccolo tesoro.

Queste le parole spese mediamente per i Beachwood Sparks negli anni passati. “Una band che suona psych-country, un paio di album agli inizi del Duemila che non hanno sfondato e una reunion nel 2012, passata anch’essa abbastanza in sordina.”

Cerchiamo di dare a Cesare quel che è di Cesare.

Il cuore del gruppo è formato dagli storici Chris Gunst, Brent Rademaker e Farmer Dave Scher. Il nome della band deriva da Beachwood Drive e Sparks Street, due vie parallele della cittadina di Burbank, dove viveva Rademaker.

Partiamo subito con i pezzi dell’album. “My Love, My Love” inizia come fosse “Las Vegas” di Gran Parsons. Ritmo e armonia vocale che ti fanno subito battere i piedi. Attenzione però, perché il primo brano ti spiazza alla prima occasione: entra una cadenza batteria chitarra alla Crazy Horse e poi via, di nuovo con i cori. A metà canzone, entra il cantato e allora sì che il country alla Gran Parsons si materializza e ci accompagna fino al minuto di chiusura dove arriva ancora la chitarra dei Crazy Horse. Pezzo incantato. “Torn in Two” mi ricorda gli Xtc di “Skylarking”. Un indie bucolico di grazia più unica che rara con un assolo finale così delicato come non ne sentivo da tempo. “Falling Forever” è un’incantevole cavalcata country folk da ascoltare in autostrada di notte e viaggiare senza meta. Finché c’è benzina.

Con “Gentle Samurai” siamo in pieno territorio Byrds mentre “Gem” ci porta in un luogo a metà tra Simon and Garfunkel e gli Okkervil River più dolci. Con la slide a dare quel tocco psych-country, marchio di fabbrica di Rademaker e soci. Nel finale ecco che fa capolino un’altra cadenza psycho-noise alla Crazy Horse. Abbiamo superato la metà del disco e ora via con “Faded Glory”, tutta percussioni e slide. Da ballare cheek to cheek. Un’atmosfera che ricorda i Flying Burrito Brothers. È il turno poi di “Dolphin Dance”, una trascinante danza da saloon. Quando parte “High Noon”, con slide cosmica e sognante m’immagino Neil Young in abito da sera che duetta con i Grandaddy. Per finire ecco “Wild Swans”, che riprende i temi di “Torn in Two” e chiude il disco con quel tono agrodolce che solo il miglior indie sa dare.

La speranza di chi scrive è che con questo album i Beachwood Sparks raccolgano finalmente ciò che meritano. In un mondo perfetto questo disco sarebbe passato in tutte le radio. Già, in un mondo perfetto…