Un Artista con la “A” maiuscola. Uno di quelli che riescono a dettare le regole anziché seguirle. “The Art Of The Lie”, sesta prova discografica di John Grant, è un lavoro che si muove su delle coordinate dannatamente fascinose e che mette in evidenza tutte quelle peculiarità che rendono il musicista americano uno dei nomi più blasonati dell’universo musicale di questi anni Venti.

Credit: Hörður Sveinsson

Il pezzo che apre (magnificamente) le danze del disco in questione, “All That School For Nothing”, è uno di quei brani che convincono sin da subito, chi ascolta con attenzione, di trovarsi al cospetto di un album creato con una cura quasi maniacale. In un’epoca di suoni realizzati apposta per fungere da banale sottofondo in palestra o in un supermercato, il caro vecchio John continua a macinare note succulente per chi ha voglia di scavare un po’ più in profondità.

A ‘sto giro, dopo (la divina) Cate LeBon, in cabina di regia il Nostro si è affidato al buon Ivor Guest, uno che maneggia la musica di qualità così come Federer maneggiava la racchetta. Classe pura. “Marbles” e “Father” rappresentano delle felici intuizioni sonore (lunghette ma gustosissime) in cui l’ex componente dei Czars riesce a muoversi – con la consueta disinvoltura – su dei tappeti elettronici maledettamente incisivi.

“It’s A Bitch”, invece, è un motivetto catchy condito, però, dalla solita classe di Grant (e da un richiamo lontanissimo, ma palese, al David Bowie più ottantiano). “The Art Of The Lie”, in pratica, è una specie di manuale sulla buona musica e su come realizzarla, senza scadere in ridicoli (se non patetici) scimmiottamenti, oggi tristemente in voga nell’universo mainstream internazionale. “The Child Catcher” è la perla tra le perle di una tracklist che non concede pause di sorta. Per chi scrive, infatti, si tratta – senza dubbio alcuno – del brano dalle stimmate più dorate del lotto, nonché di uno di quei pezzi che riconciliano Il Dio dell’Arte con la Dea delle sette note. Altroché.

Provando a tirare un po’ le somme, dunque, potremmo definire il nuovo album di John Grant come il gradito, graditissimo ritorno di un Artista che gioca a carte scoperte poiché avulso dalle dinamiche soporifere di certa musica usa e getta. In parole povere, il sesto album in studio del cantante statunitense è un’opera che va assaporata tutta d’un fiato. Undici tracce in cui buttarsi a capofitto per riuscire ad assaporarne le sfumature più recondite. Un signor disco per un Artista mai banale.

Nessuna bugia, quella di Grant è Arte pura.