Fondati oltre trenta anni fa, i Travis arrivano ora al loro LP numero dieci, appena uscito via BMG.

Credit: Steve Gullick

La storica band di Glasgow lo ha registrato ai RAK Studios di Londra insieme al produttore Tony Hoffer (Air, Beck, Phoenix), mentre il frontman Fran Healy ha scritto le dieci canzoni che lo compongono nel suo studio proprio a Los Angeles, città in cui vive da un decennio.

Definito come l’album più personale da “The Man Who” (1999), “L.A. Times” vede la partecipazione di Chris Martin (Coldplay) e Brandon Flowers (The Killers) in “Raze The Bar”: il brano, supportato da un drumming che sembra provenire dal mondo hip-hop e da cori soul, sfocia poi in un ritornello spudoratamente pop (nella connotazione più negativa del termine), dove appunto appaiono le voci dei due musicisti appena citati, decisamente insignificante e mollo come nemmeno Alberto Malesani ai tempi in cui allenava il Genoa.

Le cose migliorano con “Live It All Again”: l’atmosfera cinematografica iniziale ci ricorda certi momenti dei Radiohead o degli Other Lives, la voce di Fran – in falsetto – è confortante e riesce a emozionare chi ascolta, mentre i ritmi rimangono bassi e gli arpeggi di chitarra sono delicati e allo stesso tempo interessanti.

La perla del disco è senza dubbio il singolo “Gaslight” con quel suo bellissimo piano, quei cori nostalgici e piacevoli e soprattutto gli arrangiamenti dei fiati assolutamente meravigliosi: la sua ricchezza strumentale ci porta a fare un notevole salto nel passato, ma con una grande dose di qualità, tanto che crediamo che avvicinare il nome dei Kinks a quello degli scozzesi in questo caso non risulti per nulla fuori luogo.

Le atmosfere leggere della title-track “L.A. Times” sono davvero piacevoli, ma l’uso di elementi elettronici risulta piuttosto fuori luogo per non parlare della forzatura di Fran che deve rappare e ovviamente non è 2PacDr. Dre.

Commovente e sincera fino al midollo, “Naked In New York City”, è completamente spoglia da ogni dettaglio che potrebbe risultare inutile e proprio per questo riesce sin da subito ad arrivare direttamente al cuore di chi ascolta.

Non possiamo dire lo stesso di “I Hope That You Spontaneously Combust”, che fa uso di drum-machine e ha comunque belle melodie, ma allo stesso tempo non riesce a convincerci a causa della sua bassa forza emotiva.

Un po’ un roller coaster questo “L.A. Times” che guadagna una sufficienza molto stiracchiata grazie ad alcune piccole perle qui presenti, ma che segna una discesa da parte della band scozzese anche solo rispetto al precedente, “10 Songs” (2020): Healy e compagni ci hanno da sempre abituato a lasciarci qualcosa di importante in ognuno dei dischi che hanno pubblicato, ma in questo caso in più di un’occasione le canzoni sembrano un po’ troppo forzate alla ricerca di un possibile successo facile.