Non c’era nessun Malcom Mclaren ad aprire boutique e ad immaginare e pianificare una ribellione (da tabloid?); non c’era ancora alcun bisogno di proclamare che non esiste futuro;
non c’era ancora nessuno che scagliava pietre contro i “dinosauri del rock” o le cattedrali barocche del prog.
Il rock pare ancora lungi dal dover essere rifondato (o almeno una parte delle cronache così vogliono da sempre raccontarci) ma, sotterraneo, un seme di ribellione e violenza gratuita cresce indisturbato ed è pronto a strappare le insegne di pace e ad imbrattare i vacui proclami d’amore collettivo, prima che il festival di Altamont riportasse definitivamente tutti a casa.
L’alienazione della città industriale per eccellenza, Detroit, partoriva i suoi gemellini, accomunati da un inaudito frastuono metallico.
Un suono ed un’attitudine mai riscontrate prima, che da qualsiasi latitudine vengono coniate come il vero battesimo del punk, ancor di più della parentesi garage di metà anni sessanta.
Ma chi sono costoro che, con tale irriverenza, celebrano il funerale dell’utopia flower power, prima che diventi un dato di fatto nel reflusso individualista degli anni ’70?
Figli dell’anima nera della città , Mc5 e Stooges pisciano sui fiori e sulle fragranze del decennio, ne celebrano in anticipo il funerale e riversano un brodo primordiale di nichilismo e furia selvaggia che non fa prigionieri.
Il 5 agosto del 1969, l’Elektra , la stessa etichetta dei The Doors, sforna l’omonimo esordio discografico degli Stooges, capitanati dall’iconico Iggy Pop, un Jim Morrison ancor più dionisiaco ed oltraggioso.
Accanto ad Iggy, satiro perverso ed animalesco, si stagliano monolitici muri ritmici e chitarre sature, per un vero e proprio suono garage, proto punk , figlio della psicadelia più marcia (e meno dispersiva) e di un blues rivisto e corretto sotto la lente deformante di bianchi che non hanno solo venduto l’anima al Diavolo in un campo di cotone, ma che ne degenerano i riti.
Riff lancinanti, urla sguaiate ma anche morbosamente ammalianti per un primitivismo musicale fino ad allora senza pari.
Tra i 35 minuti e gli 8 brani, basti citare “I Wanna be your Dog”, puro delirio sonoro ed uno shock ai tempi solo per il titolo, ripreso non a caso dai Sonic Youth; “No Fun”, complice il geniale handclapping che rende quasi orecchiabile questo malsano inno, manifesto e celebrazione del nichilismo, richiamo al “nulla”, perchè la festa è finita (o forse mai iniziata); “1969”, boogie viscido che riassume, in pochi versi, l’etica del gruppo perchè “It’s another year for me and you, another year with nothing to do“; la sinistra e lugubre “We Will Fall”, che si dipana in dieci angoscianti e lisergici minuti ricordando quei Velvet Underground il cui John Cale è presente, suonando la viola, nel brano (ma è bene ricordare che è proprio lui il timoniere nella produzione del disco).
Come i sopra citati Velvet, inizialmente rimasero affar per pochi eletti. ma i germi del morbo ciclicamente hanno generato cloni a non finire, decennio per decennio, a testimonianza di una delle esperienza più preveggenti dell’intera storia del rock.
The Stooges – The Stooges
Tipo album: Studio
Pubblicazione: 5 agosto 1969(U.S.)
Durata: 34:33
Dischi: 1
Tracce: 8
Genere: Hard rock – Garage rock – Rock and roll – Proto-punk
Etichetta: Elektra Records
Produttore: John Cale
Lato A
1969 – 4:05
I Wanna Be Your Dog – 3:10
We Will Fall – 10:15
Lato B
No Fun – 5:15
Real Cool Time – 2:29
Ann – 3:00
Not Right – 2:49
Little Doll – 3:21