Nulla di nuovo all’orizzonte. Purtroppo.
I Cults – Madeline Follin e Brian Oblivion – ritornano sulle scene discografiche con un album, “To The Ghosts”, che continua ad appiattire il campionario musicale – già tremendamente in discesa – di una band che sembra aver esaurito le sue tinte più sgargianti. Sì, perché non basta un buon ritornello da cantare a squarciagola durante i propri live (“Crybaby”) per assicurarsi un risultato vincente.
Ecco. A proposito di metafore sportive, se il duo di New York City fosse un team NBA, sarebbe una di quelle franchigie che salutano i playoff quasi sempre al primo turno. Un gran peccato. La verità è che nel disco in questione, pur provando ad impelagarsi in territori decisamente più psichedelici, i Nostri appaiono svogliati, pigri, come degli studenti piuttosto disinteressati durante l’ultimo giorno di scuola.
Ed allora, brani come “Honey” o la stessa “Knots”, non riescono ad incidere nell’economia di una tracklist oltremodo soporifera. Provando a scandagliare in maniera ancor più dettagliata le pieghe indie-pop di questo “To The Ghosts”, potremmo affermare, banalmente, che va un po’ meglio con pezzi quali “Onions” e “Eat It Cold”, ma si tratta di momenti episodici che nulla aggiungono al piattume atavico di un progetto maledettamente statico.
“Hung The Moon” conclude (come peggio non si potrebbe) un disco che non regala altro che sbadigli e skip frenetici. Più che con i fantasmi, i Cults dovrebbero fare i conti con l’amara realtà: c’è bisogno di cambiare rotta per ritrovare un po’ di quegli stimoli – e di quelle intuizioni sonore – che tanto avevano entusiasmato circa un decennio fa. Onde evitare di andare incontro a lavori scialbi, insipidi, che mal rappresentano il percorso artistico di una band che sembrava destinata a ben altri orizzonti.
Ve l’avevamo detto: anche stavolta ci si ferma al primo turno dei playoff.