Sasha Bolof abbandona dopo un decennio il nome Stres per pubblicare il nuovo album “Tabitha”. Il trasferimento a Los Angeles, la voglia di scrivere testi più narrativi e musica basata quasi interamente sulla chitarra elettrica sono alcune delle ragioni che l’hanno spinta a questa decisione, indubbiamente non facile visto che i dischi sperimentali registrati come Stres avevano raggiunto un pubblico di culto ma affezionato.
Accompagnata dal batterista Casey Dietz, dallo storico collaboratore Erik Blood e da un nutrito gruppo di musicisti Sasha Bolof si cimenta con dieci canzoni che parlano di persone come tante che potrebbero o non potrebbero esistere nella realtà. Una carrellata di sguardi al femminile con Andrea Zollo che interpreta la protagonista tra attivismo, alienazione, ricerca della propria verità interiore.
Atmosfera molto alt – rock anni novanta fin dalle prime note di “April” jam session introduttiva che fa da ponte tra presente e passato con l’elettronica che lascia spazio a chitarre melodiche e taglienti, una costante del disco. Ritmi che possono ricordare i Veruca Salt come le armonie agrodolci di “June” e l’elettricità del singolo “Jane”. Furia e quiete si alternano dunque in contrasti a volte violenti come nella title track, in “Savannah” e “Ursula” tre dei brani più esplosivi e riusciti.
Buona anche l’energia di “Rosa” mentre sul versante melodico c’è spazio per l’atmosfera dream pop di “Michelle” e “Jessica” con armonie vocali cristalline mentre “Raine” si sposta verso l’elettronica di matrice ambient con risultati gradevoli. Un album istintivo “Tabitha” che tratteggia ritratti vividi, puntando sull’immediatezza di un sound ben costruito e in grado di regalare emozioni.