Credit: Eduardo Merille, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Spesso sentiamo parlare di fruibilità e di accessibilità alla cultura, ma come si possono applicare questi concetti ad un mondo, come quello della musica, che, ormai, è alla mercé delle piattaforme di streaming e di poche grandi multinazionali che, da sole, controllano una quota significativa del mercato?

Oggi, per la gran parte degli artisti e delle band, i concerti e i tour sono la vera e spesso unica fonte primaria di reddito; come è possibile, dunque, conciliare questo con la necessità di non fare arrivare i prezzi dei concerti a cifre stratosferiche?

Perché è, ormai, sotto gli occhi di tutti, che i prezzi aumentano velocemente e che, per gli artisti più famosi, arriviamo ad un centinaio di euro per i settori in piedi più distanti dal palco. Aumenti che non sono più spiegabili solamente con l’aumento del cachet degli artisti o con i costi di allestimento dei palchi e degli spettacoli proposti o con le spese di viaggio o con la crisi pandemica del settore o con le guerre che stanno incidendo sull’economia mondiale. E’ assurdo e si mostrerà distruttivo, sul medio-lungo periodo, il tentativo di utilizzare i live per coprire le perdite subite dalle vendite mancate dei supporti fisici e della musica digitale; sarebbe più giusto obbligare le piattaforme di streaming a riconoscere compensi più elevati agli artisti.

Quello della musica e, in particolare, quello degli organizzatori di concerti, è un mondo chiuso, opprimente, monopolista e senza una vera competizione; è evidente, infatti, che siamo dinanzi ad un vero e proprio cartello che vede, da un lato, il duo LiveNation-Ticketmaster e dall’altro quello Eventim-TicketOne. Due grossi monopolisti che si servono, di volta in volta, delle medesime piccole realtà ed aziende nazionali (in Italia, ad esempio, abbiamo i noti D’Alessando e Galli), determinando, sempre più spesso, quelli che sono aumenti ingiustificati ed immorali dei prezzi dei biglietti. Prezzi che sono gonfiati, del tutto fuori controllo e sui quali bisognerebbe vigilare politicamente, arrivando ad imporre anche un vero e proprio tetto massimo, limitando, inoltre, gli assurdi ed immotivati costi di commissione e favorendo, nel frattempo, la nascita di nuove realtà organizzative ed imprenditoriali, perché è chiaro che un mercato controllato da due soli competitor è un mercato iniquo (e non voglio neanche addentrarmi nella spiacevole situazione del “dynamic pricing” di cui ora tutti parlano dopo la vicenda dei biglietti degli Oasis), nel quale a rimetterci saranno sempre e solo gli appassionati e che trasformerà il mondo dei concerti in un mondo elitario per soli, pochi, ricchi benestanti, i quali potranno permettersi prezzi sempre più alti.

Mi viene da sorridere, quando il buon Kurt Cobain, negli anni Novanta, in uno show televisivo, si mostrava scioccato ed allibito perché un concerto di Madonna arrivasse a costare 50 dollari; oggi, con quella cifra saremmo sicuramente fuori dallo stadio e, probabilmente, con 100 dollari, assisteremmo al concerto nel posto peggiore dell’arena.

In questo modo le major discografiche, le piattaforme di streaming e i grandi monopolisti organizzatori di eventi escluderanno gran parte della popolazione, soprattutto i più giovani, dalla musica dal vivo, spingendoli, di conseguenza, verso nuove e diverse forme di espressione e trasformando sempre più il pubblico dei grandi eventi rock e pop in una casta esclusiva di quarantenni, cinquantenni e sessantenni che trascorreranno tutto il tempo dello spettacolo, con i loro smartphone di ultima generazione stretti in mano, a scattare foto e a fare video, perché, alla fine, l’unica cosa importante non sarà il concerto in sé, ma la prova concreta di essere lì e poterlo dimostrare sui propri profili social. Tracce virtuali di apparenza che vivranno per sempre… o no?

https://www.youtube.com/watch?v=Th-IHpLgH_8