Ci sono alcuni dischi che innegabilmente sono riusciti a segnare la storia, facendo da spartiacque nell’evoluzione di un genere o rappresentando un ideale passaggio di consegne tra artisti di una generazione e quella successiva.
Oppure semplicemente certi titoli assurgono al rango di “classici” e “imperdibili” perché chi li ha realizzati conteneva in se i crismi di un talento unico, inestimabile.

Nella galassia rap/hip hop uno di questi è senza ombra di dubbio “Ready to Die”, debutto del 1994 targato The Notorious B.I.G., alias Christopher Wallace, all’epoca appena ventidueenne ma già alle prese con l’obiettivo di risollevare le sorti del movimento proveniente della East Coast.

Sì, perché sin dal suo affacciarsi sulla ribalta newyorchese (lui proveniente da un sobborgo di Brooklyn), fu evidente che quel ragazzotto tanto in carne (il suo primo moniker fu Biggie, Biggie Small che ricordava un nomignolo affibbiatogli sin da adolescente, quando già superava il metro e novanta di altezza per un peso di 130 kg) aveva dei numeri e possedeva una capacità lirica che mancava ad altri colleghi, i quali il più delle volte si limitavano a elencare gesta che sembravano vieppiù stereotipate o caricate di significati.

Nelle sue parole invece scorrevano davvero scene di vita vera, che lui aveva voluto fortemente provare sulla propria pelle, nonostante durante l’infanzia non avesse passato situazioni particolarmente truci, estreme o violente (come purtroppo capitava sovente in certi quartieri, se pensiamo in particolare al famigerato Bronx di metà anni ottanta, dilaniato da incendi e dal dilagare del crack).
Wallace era cresciuto certamente in un contesto povero ma pur sempre sotto le cure amorevoli della madre, che di certo per lui sperava in un futuro lontano da malavita e illegalità (destino talvolta già scritto per i giovani delle comunità nere di allora), specie considerando quanto precoce fosse il suo talento e come apparisse spiccata la sua intelligenza, a scuola ad esempio nonostante si sia ritirato presto, in quei primi anni non ebbe difficoltà a conseguire ottimi risultati.

Presto però, come detto, fu forte anche in lui il richiamo alla vita nelle gang, solo che il passaggio dal rap come divertimento nelle innumerevoli battles al professionismo fu piuttosto repentino grazie all’interesse e all’intuito di un produttore in erba (ma che sarebbe diventato a sua volta un numero uno in materia) come Sean Combs, poi al più noto come Puff Daddy, il quale aveva da poco fondato una propria etichetta (la Bad Boy Records) con cui provare, senza troppi scrupoli, a contendere le vette delle classifiche ai grossi marchi multinazionali.

Notorious B.I.G. (ormai si faceva chiamare solo così) rappresentava tutto quello che alla neonata etichetta serviva per ottenere un grande successo, ma i risultati andarono anche oltre le pur legittime aspettative. Aveva un eccellente flow, testi incisivi ma in possesso di indubbia qualità narrativa, e tanta motivazione e ambizione di arrivare in alto, di arricchirsi pure – i proclami in tal senso erano evidenti, e rientravano abbondantemente nei canoni del cantante rap che con la propria musica poteva veramente cambiare il proprio destino – stando finalmente lontano e al riparo da trame fosche e i brutti giri.

“Ready to Die” mostrava così una personalità dilagante, una maniera nuova di ribadire il concetto di gangsta-rap, che prendeva da una parte le distanze da quello classico, militante, senza però snaturarsi, e facendo ciò si metteva in netta contrapposizione col più solare e sfaccettato rap proveniente dalla West Coast; ovvio, questo non va applicato a un capolavoro assoluto come “Illmatic” di Nas che rifugge ogni facile definizione e a cui anche il Nostro guardava con rispetto e ammirazione.
Con la musica di Notorious B.I.G., insomma, la costa atlantica stava riottenendo quella supremazia sul resto degli Stati Uniti che le veniva attribuita dalla sua storia, dalle gloriose origini. Questo disco d’esordio, con i suoi samples ricercati, un pool di produttori d’eccellenza e gli ingenti costi in fase di realizzazione, segnava davvero l’inizio di una nuova golden era e la critica non faticò a riconoscerne i meriti e l’importanza.

Certo, è un titolo che suona profetico da far raggelare il sangue se ragioniamo col senno del poi, visto il tragico epilogo che la sua vicenda umana e artistica subirà con l’assassinio avvenuto a Los Angeles il 9 marzo del 1997, così strettamente legato a quello precedente del rivale (ed ex amico) Tupac Shakur, ma se lo ascoltiamo ancora oggi, a distanza di trent’anni esatti dalla sua pubblicazione, non possiamo invece che cogliere l’aspetto vitale di una proposta che come già rimarcato finì per rappresentare uno spartiacque nella storia dell’hip hop a stelle e strisce.

Per i cultori del genere è un disco da mandare a memoria, al cui interno figurano inoltre delle perle più “commerciali” (penso ai singoli “Juicy”, “Big Poppa” – che diventerà disco di platino – e soprattutto la più morbida e ballabile “One More Chance”) che hanno reso possibile, anche per un pubblico meno avvezzo, la conoscenza di un nuovo fenomeno che sarebbe diventato presto trasversale, icona del proprio tempo.

Era nata una stella non solo nel firmamento rap, la cui luce il destino ha voluto brillasse per sempre.

Data di pubblicazione: 13 settembre 1994
Registrato: presso “The Hit Factory” e “D&D Recording Studios”, New York City tra il 1993 e il 1994
Tracce: 17
Lunghezza: 69:05
Etichetta: Bad Boy Records
Produttori: Sean “Puffy” Combs, Mister Cee, Bluez Brothers, DJ Premier, Easy Mo Bee, Rashad Smith, Lord Finesse, Poke, Darnell Scott, Chucky Thompson

Tracklist
1. Intro
2. Things Done Changed
3. Gimme the Loot
4. Machine Gun Funk
5. Warning
6. Ready to Die
7. One More Chance
8. Fuck Me (Interlude)
9. The What
10. Juicy
11. Everyday Struggle
12. Me & My Bitch
13. Big Poppa
14. Respect
15. Friend of Mine
16. Unbelievable
17. Suicidal Thoughts