Cambio di direzione artistica per il Poplar Festival in quel di Trento nella splendida cornice del parco del Doss, che, dopo diverse edizioni prevalentemente formate da line up di artisti italiani, da quest’anno (ma già l’anno scorso c’era stata una piccola inversione di tendenza), in maniera cospicua e significativa ha saputo configurare un cartellone internazionale di tutto rispetto, il giusto mix tra nomi chiacchierati e qualcuno in rampa di lancio.
Noi riusciamo ad assistere alla giornata del venerdì sera, la seconda in programma e sostanzialmente gemella con quella di chiusura, domenica prossima.
Giornate con una direzione ben precisa, quanto omogenea, quindi artisti che si sposano bene nel susseguirsi dei concerti.
Rimane sempre presente la quota italica, il sabato nella sua interezza, ma anche il giovedì e qua e là anche nelle giornate più esterofile.
Oggi il piatto forte, almeno per il sottoscritto, sono i Mount Kimbie, che chiuderanno i live act, prima dell’arrivo in console di Apparat, ma per un dj set e quindi di altri artisti in linea con l’atmosfera club culture, vedi l’atteso e divertente OK Giorgio.
Line up ricca e vado con ordine ad analizzare.
Raggiungiamo la location, dopo un breve percorso in salita, posto davvero stupendo e organizzazione impeccabile, oltre ai prezzi popolari, di fatto con 25 euro, si ha l’accesso ad una maratona infinita senza pause, ovviamente costo giornaliero che si abbassa ulteriormente, acquistando l’abbonamento per i quattro appuntamenti.
Da quest’anno, sono stati allestiti due palchi speculari. Il main stage (Doss stage), quindi il Volt stage vicino all’entrata del parco. Parliamo comunque di un’area concisa per una capienza di 3500 persone ed un festival, per chi non digerisce i grandi eventi, assolutamente a portata di mano, con punti di ristoro gestiti da un esercito di volontari.
Arriviamo giusto in tempo per il nostro primo concerto, l’eclettica Anna and Vulcan da Torre Annunziata, che insieme al sodale produttore Damiano, suona circa mezz’ora, pop di nuova generazione, cantato sia in italiano, sia in napoletano. Filastrocche gradevoli dal gusto retrò, condite da un certo songwriting con i classici italiani come riferimento. Già strimmata a dovere su Spotify, rientra sicuramente nelle possibili next big things di genere.
Con andamento serrato, partono gli Zimmer 90, subito dopo, sono un trio synth pop da Stoccarda, lontano da portare l’originalità in prima linea, ma che, al contrario, regala ottime pop songs, quelle scritte bene nella loro semplicità, qualità nelle melodie, che arrivano al dunque anche dopo un solo ascolto.
Suonano 40 minuti di raffinati quanto coinvolgenti brani, erano in tour in Italia per un paio di date, oltre a stasera anche all’abituale Bellezza a Milano.
Sorpresa della giornata senza dubbio.
Il tempo di girarsi che gli Yin Yin sono pronti sul main stage. Già graditi ospiti, qua e là, in questa afosa estate italiana, collettivo olandese, molto divertente, che non può non lasciare quel pizzico di buonumore e clima festaiolo nelle sue trame strumentali, sulla scia di progetti anche particolarmente vincenti e fortunati come i Khruangabin o i meno blasonati, ma quotati, Altin Gun, gli Yin Yin, come dal moniker si evince, omaggiano una certa filosofia orientale, sono in tour per presentare l’ultimissimo lavoro in studio “Mount Matsu”, un misto di funk, afrobeat, ma il ruolo da party band insolita calza a pennello.
E il loro concerto conferma appieno tutte le succitate premesse. Eccentrici nei modi e indiscutibilmente bravi, quanto bizzarri.
Sofia Kourtesis, invece, è un’artista peruviana, ma di stanza a Berlino, città che ha, inevitabilmente contaminato a dovere, la sua vita da cosmopolita, anche lei in rampa di lancio, letta spesso e volentieri nei chilometrici bill festivalieri, “Madres”, sostanzialmente l’esordio sulla lunga distanza, (dopo un primo EP), uscito lo scorso anno per la blasonata Ninja Tune, è un disco molto ricco, quanto ispirato e sofferto per i temi trattati.
Un patrimonio folcloristico, l’elettronica e una verve sperimentale tutta sua. Suona live, o meglio, si appoggia su una trama quasi da dj set, diciamo questa formula mi convince meno e anche il concerto, a mio avviso, ne risente, risultando il meno coinvolgente della giornata. Anche se le canzoni di “Madres” arrivano e ci sono.
A chiudere la dimensione delle proposte live, sono i Mount Kimbie, come detto, sicuramente gli artisti più attesi di questo secondo giorno e insieme ai Viagra Boys, che si esibiranno domenica, per quanto mi riguarda, di tutto il bill.
Collettivo londinese in giro da ormai più di quindici anni, dall’esordio appunto del 2009, esattamente l’EP “Maybes” fino all’ottimo “The Sunset Violent“, che è anche il leit motiv di questo nuovo tour europeo, un disco molto bello, che non faticherà a raggiungere i piani alti nei consueti riassunti di questo 2024.
Capaci, con nonchalance, e un piglio tutto loro, tanto da risultare originali in un mondo omologato, di mescolare sapientemente indie-rock, con una certa wave e un proficuo alt pop.
Passati da due a quartetto in pianta stabile, il collettivo capitanato da Kai Campos e Dom Maker ci regala un live di grande qualità, soddisfando appieno le attese e questa nuova formula, il giusto mash up tra analogico e suoni sintetici trova il suo habitat ancora di più nella dimensione live.
In setlist molto album nuovo come l’eterea “You look certain (I’m not so sure)” o la stupenda “Dumb guitar”, o la stessa “Marilyn” dal precedente lavoro in studio.
Con i Mount Kimbie si conclude il nostro festival, che si trasforma in un enorme party da club culture con i dj/live set di Fuera, Apparat, Whitemary e del già citato Ok Giorgio, già in rampa di lancio anche fuori dei nostri confini.
Il Poplar è un appuntamento imperdibile, prontissimo, nelle prossime edizioni, a raccogliere il testimone degli eventi fiore all’occhiello della stagione italiana.