Dev’essersi sentito al settimo cielo Yannis Philippakis quando, qualche anno fa, ha avuto l’opportunità di collaborare – in uno studio vintage situato a Parigi – con quel mostro sacro di Tony Allen. Lui che ha sempre ammirato e stimato uno dei padri fondatori del cosiddetto afrobeat.
Allen – pace all’anima sua – non ha certo bisogno di presentazioni. Ha influenzato generazioni di musicisti – da Fela Kuti a Sebastien Tellier, passando per Jeff Mills e per gli italianissimi Nu Genea – ed è stato il padre fondatore del genere musicale di cui sopra, oltre che, naturalmente, un batterista con i controfiocchi. Poco da dire. E così, il leader dei Foals, sfruttando un momento di stasi della sua band (che di grandi batteristi se ne intende), ha deciso di raggruppare tutta quella squintalata di brani eseguiti – illo tempore – con l’iconico drummer franco-nigeriano.
Ne è uscito fuori un EP dannatamente gustoso e che risponde al nome di “Lagos Paris London”. Si tratta di cinque tracce composte, su per giù, dalle melodie orecchiabili e delle chitarre martellanti tipiche dei Foals, unite, però, all’inimitabile stile di batteria di Allen. In pratica, un ascolto più che avvincente. “Through Fire”, per esempio, è pura adrenalina indie-rock e si tratta di un pezzo in cui si avverte oltremodo la solennità con cui il caro vecchio Yannis si è interfacciato al progetto in questione. Più che di tracce fini a sé stesse, all’interno di “Lagos Paris London” ci troviamo di fronte a delle vere e proprie jam session che hanno catturato degli istanti sonori pieni di influenze rock, funk, jazz e dub. E scusate se è poco.
Proseguendo con l’ascolto, “Rain Can’t Reach Us” si apre in maniera alquanto delicata, pur mantenendo, al suo interno, una sorta di atavica atmosfera cupa. E cosa dire del giro di basso presente su “Night Green, Heavy Love”? La canzone rappresenta al meglio l’alchimia creatasi fra Philippakis e Allen. Ascoltare per credere. Sì. Perché è un momento quasi catartico che non può essere replicato di nuovo. Nel brano, suoni ipnotici si fondono con immagini grintose e una sensazione inquietante che qualcosa di malvagio stia per affacciarsi all’orizzonte. Il finalone chitarroso, tra l’altro, contiene anche un riff di tipico dei Foals.
Provando a tirare un po’ le somme, dunque, potremmo definire “Lagos Paris London” come una sorta di piccolo testamento di Allen lasciato in dote al buon Yannis Philippakis. Un’opera vellutata che piacerà – ne siamo certi – sia agli amanti dei Foals che a quelli della (buona) musica in generale. C’è ancora dell’arte nelle sette note. Basta cercarla. O saperla cercare.