A distanza di un solo anno dal bellissimo “The Omnichord Real Book” (vincitore nel 2024 del primo Grammy come Miglior Album Jazz Alternativo) la talentuosa Meshell Ndegeocello torna a riproporre un’opera altrettanto solida, interessante e mastodontica, se pensiamo non solo alla sua durata complessiva (un’ora e un quarto di musica) ma soprattutto ai contenuti.
Pubblicato ancora una volta dalla gloriosa Blue Note, “No More Water: The Gospel of James Baldwin”, nuovo disco della bassista, cantante e polistrumentista statunintense nata a Berlino, risulta addirittura superiore al suo predecessore nell’essere riuscito a condensare al suo interno letteratura, recital, cronaca, poesia e storia, il tutto avvolto da suoni e voci magnifiche.
Ovvio, tanta mole di lavoro potrebbe scoraggiare i più all’ascolto, ma occorre dire che a volte la musica va anche assorbita pian piano, “ascoltata” nel vero senso della parola, non solo utilizzata come rassicurante sottofondo.
In queste diciassette tracce l’artista rasenta infatti il capolavoro, coadiuvata da elementi di assoluto spessore come Justin Hicks e Kenita Miller Hicks (coppia collaudatissima), il chitarrista Chris Bruce, Josh Johnson al sassofono, oltre allo scrittore Hilton Als e alla poetessa Staceyann Chin che offre il suo mirabile spoken word in più occasioni, andando a interpretare delle parti testuali di alcuni scritti di Baldwin, alla cui memoria è appunto dedicato il disco.
D’altronde si sente un fortissimo legame intellettivo tra lo storico scrittore e attivista politico americano (trasferitosi in Europa dove ha messo maggiormente a fuoco le sue istanze creative) e la Ndegeocello, la quale con la sua musica intende essere sempre più trasversale e inclusiva, senza in qualche modo deporre metaforicamente le armi, vista la sua vicinanza a questioni sociali che negli Stati Uniti sono sempre più che mai presenti.
James Baldwin era nato nel 1924 e ha visto chiaramente quanto la popolazione nera nel suo Paese fosse sfruttata, quanto lungo ed estenuante sia stato il processo di emancipazione e integrazione, al punto che per tutta la vita non ha smesso di denunciare forme di oppressione che continavano, magari in forme diverse, più subdole, a essere perpretrate ai danni della sua gente.
Ndegeocello ha una funzione diversa in questo ma il suo intento qui era di ricordare le opere e le gesta di questo grande uomo, i cui messaggi sono ancora vividi, oltre che amaramente attuali , come ci riportano certe cronache.
Ma “No More Water” è soprattutto un lungo, intenso, appassionante, vibrante viaggio musicale, una sorta di preghiera (cantata e recitata) in cui sono contaminati in maniera mirabile elementi jazz, afrobeat, soul, rhythm and blues, in una sorta di avanguardia artistica alla quale è impossibile rimanere indifferenti.
Tra le tracce salienti mi sento di citare la struggente “Travel” che fa da apripista trattando il tema del suicidio (ricorrente spesso nelle opere di Baldwin), la romantica “Love” che si espande in territori funky (e qui il contrabbasso della padrona di casa fa la differenza), la solenne “What Did I Do?” e la dolcissima “Eyes” con una performance vocale da brividi.
Come detto prima, però, è questo un album da ascoltare nella sua interezza, dove ogni parte ha grande importanza nel delineare un ritratto sentito e fedele dell’autore evocato sin dal titolo. Una prova, l’ennesima a firma Meshell Ndegeocello, superata a pieni voti.