Sarebbe profondamente ingiusto liquidare “Cascade” come la rappresentazione del reflusso dopo lo spirituale “Promises”, lo spostamento polare dalle atmosfere mistiche con Pharoah Sanders a questa concreta dimensione da dancefloor evocata dall’inizio alla fine.

Credit: Press

Qui la cassa è dritta, l’house macigna, il post rave di lontana memoria, la fucina del mestiere da dove ha mosso i primi passi Sam Shepherd sono tutti presenti nelle 9 tracce dell’album e si potrebbe tranquillamente riassumere la pratica come un riempitivo post sbornia contaminazione jazz per riportare tutto un pò a casa.

Se fosse solo questo, sarebbe già abbastanza, perchè in “Cascade” quello che non manca è il mestiere anche nella semplicità della proposta e soprattutto il senso, innegabile, di voglia di gettarsi su una pista e lasciarsi andare.

Ma come in quasi tutta la produzione di Floating Points c’e quasi sempre qualcosa oltre, qualcosa che si cela dietro il magma sonoro, il dettaglio che dà il colore, nello specifico qualche intarsio modulare, qualche linea di synth emotiva, (gli intro di “Afflecks Palace” e di “Ocotillo”, ma anche altre parti), che aggirano l’ostacolo della cassa dritta di prima, insomma dando quel tocco di attesa al ritmo che proietta il senso dell’album in qualcosa di brillante e necessario: l’idea che non sia solo un desiderio di sano divertimento a farci apprezzare questi brani, ma anche la sensazione esperienziale di una ipotetica serata all’interno di quel immateriale movimento della club culture, fatta d preparativi, inspiegabile irrequietezza, dance liberatoria, corpi che si liberano dal risentimento e dalla razionalità, un entusiasmo effimero ma indispensabile che in “Cascade” vive colto prima del suo inizio, sviluppato dentro questi ritmi digitali, a volte freddi a volte forse ripetitivi, e poi svuotato fuori quando non c’è’ piu’ birra, non c’è più necessita’ di eliminare le scorie.

“Cascade” è anche questo, una specie di celebrazione della memoria del periodo d’oro di quella scena inglese , ma anche altro, un oggetto a più livelli, di una ispirazione che non parte dal riempimento del vuoto ma dalla sua ricerca, una forma di dilatato punto di partenza, perfettamente riconoscibile, dove infiltrarsi e lasciarsi portare vie dalle sue onde cangianti a chissà quali bit /sec., per poi riemergere, essere pronti per l’alba di un giorno nuovo, vitali e rigenerati per chissà quale “splendente” fortuna da cogliere (la finale “Ablaze”).