Paul Hudson, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Secondo weekend della stagione 2024/2025 del Covo Club: dopo il sold-out in apertura ottenuto dai Follakzoid sabato scorso (a cui si aggiungeva ovviamente il party con tutti i dj che si alternano nel corso dell’anno dietro la consolle del locale di viale Zagabria), oggi è la volta dei Demob Happy e anche stasera le presenze sono molto numerose anche grazie all’arrivo di alcuni fan inglesi.

L’atmosfera come sempre è di festa e sembra perfetta per accogliere la formazione originaria di Newcastle Upon Tyne, ma di stanza ormai da tempo a Brighton, che presenta il suo terzo LP, “Divine Machines“, uscito lo scorso anno via Liberator Music: prodotto dal carismatico frontman e bassista di origini italiane Matthew Marcantonio insieme al noto Tom Dalgety (Pixies, Ghost, Royal Blood), questo loro terzo LP ha saputo ottenere numerosi riscontri positivi in giro per il mondo e ci rende davvero curiosi di ascoltarli anche dal vivo.

Le novità, però, non sono finite perché, come racconterà lo stesso Matthew durante i settanta minuti abbondanti del concerto, la formazione britannica di recente ha registrato un nuovo album in California in un paio di mesi, quindi stasera ci sarà anche possibilità di ascoltare qualche inedito.

Ad aprire i giochi ci pensa il modenese Ed, sempre piacevole progetto del musicista modenese Marco Rossi, di cui purtroppo – causa ritardo – riusciamo solo ad ascoltare le ultime due canzoni.

Sono quasi le undici e dieci quando il gruppo inglese sale finalmente sul palco del Covo Club: la pur ricca scaletta sarà ovviamente soprattutto concentrata sulle canzoni di “Divine Machines”, ma ci saranno anche alcuni spunti presi dai due LP precedenti, oltre che, come già accennato, qualche brano inedito.

L’inizio è segnato dalla potenza rock di “Voodoo Science”, estratto dalla loro fatica più recente: se la voce di Marcantonio ci mette un paio di pezzi per trovare la quadra, non altrettanto vale per il batterista Thomas Armstrong, che fin da subito mette in mostra la sua dannata esplosività, come capiterà poi per tutto il resto del concerto. Ipnotica e dancey, la canzone diventa delirante nella sua parte finale per la gioia dei numerosi fan presenti in sala oggi.

Poco più avanti “Run Baby Run” ha un non so che di poppy: se da una parte non manca una certa forza strumentale, dall’altra il coro è più leggero e ci fa tornare in mente i Franz Ferdinand, anche se la formazione di stanza a Brighton alla fine risulta molto più incisiva rispetto a quella di Alex Kapranos.

Video killed the radio star“, cantano i Demob Happy nella successiva “Token Appreciation Society” e, mentre rimane un certo approccio pop melodico, la cattiveria, l’aggressività e l’adrenalina sono ben presenti.

L’inedita “The Name Of This Song” si fa notare con i suoi pesanti riff e per la sua incisività, mentre “Tear It Down” è assolutamente vibrante tra psichedelia e un tocco dancey che ci ricorda i Primal Scream.

Per “Muscular Reflex” Marcantonio si concentra esclusivamente sulla parte cantata, abbandonando per un momento il suo basso, risultando quasi romantico, seppure nel modo dei Demob Happy, cioè con una strumentazione molto sostenuta e rumorosa, sebbene composta in questo caso solo da chitarra e batteria.

“Sweet & Sour America” ci porta verso territori più blues-rock tanto da farci tornare in mente i White Stripes, sebbene in una versione più cattiva, prima di lasciare spazio a una delirante “Less Is More”, altrettanto bluesy ed esaltante.

I graffianti riff blues della vecchia “Be Your Man” chiudono poi la serata dopo oltre settanta minuti, incendiando ancora una volta il pubblico della venue felsinea.

Un set rumoroso e ricco di energia per i Demob Happy che, anche dal vivo, hanno saputo dimostrare quanto di buono avevamo già sentito sul loro album più recente: non vediamo l’ora di ascoltare il loro nuovo lavoro appena registrato.