Sono all’esordio i Maustrap ma non lo diresti, questo è il sentimento diffuso mentre si ascoltano con estrema piacevolezza le dieci tracce che compongono “Spegni la luce”.

Credit: Susanna Franchetti

Ogni canzone possiede una forte identità musicale e narrativa, è affascinante a modo suo, e il “miracolo” della band di Lele Mancuso (che ha scritto la quasi totalità dei brani, a eccezione di alcuni in coabitazione con il batterista Enrico Ceccato) è quello di mantenere in ogni caso una omogeneità di fondo che rende il tutto personale e riconoscibile, al di là dei (nobili) modelli ispiratori.

Una risposta però a tanta bontà e perizia qualitativa la si può trovare nel pedigree dei nostri (completano la formazione il bassista Ettore Craca e il chitarrista Alessandro Riello), tutti con all’attivo varie esperienze – anche condivise – in gruppi storici di area veneta assurti a una certa notorietà (penso in particolare agli Etabeta, ma pure ai più seminali OpenZoe): tuttavia allo stesso tempo questa nuova creatura denominata Maustrap appare qualcosa di diverso.

Non solo per il tempo intercorso tra un progetto e l’altro, ma pure perché si è trovato un equilibrio che oserei dire perfetto tra le varie istanze musicali in seno agli animi dei Nostri: il retaggio pop è sempre presente, ma non mancano spunti wave, elettronici (seppur questa componente sia funzionale ma non preponderante), rock e soprattutto cantautorali, se non altro per l’attitudine e la propensione alle parole di Lele Mancuso, abilissimo a delineare quadri di vita vera, di quotidianità senza smarrire un tono evocativo che conferisce spessore a ogni canzone.

Gli umori in genere sono malinconici ma non mi sognerei certo di definire questo album come triste, e nemmeno come introspettivo, in quanto le liriche sembrano voler (e poter) abbracciare una platea potenzialmente ampia, visto l’indubbio appeal che facilmente viene riscontrato (il pensiero corre nella fattispecie all’intensa “Sera”, alla fresca e orecchiabile “Masquerade”, giustamente scelta come singolo apripista del progetto, e alla più lunare “Amarcord”, su cui aleggiano in apertura i padri putativi Cure).

Non ci sono episodi scritti male, con i Maustrap che suonano credibili anche quando rallentano la corsa – nella dolce-amara “Inchiostro” – o si lasciano trasportare in riflessioni esistenzialiste, vedi la title-track, quella che forse di più tradisce una discendenza diretta figlia dei tempi segnati dalla pandemia che i Maustrap stavano vivendo preparando il disco. C’è poi “Malenica” che si distingue più di tutte per le sferzate e i nervi tesi, in un cantato che rimanda a Mimì Clementi dei Massimo Volume.

Dovendo invece ricercare un aggettivo per la musica dei Maustrap, non esiterei a definirla elegante oltre che “romantica” nella sua essenza più profonda: è questa la cifra stilistica, il mondo sonoro di riferimento dove vincono a mani basse, mentre convince meno una traccia come “Candy pharma”, la quale visto il contesto appare sin troppo leggera, anche se probabilmente dal vivo sarà uno di quei momenti di stacco che fa sempre bene.