Ho seguito con grande interesse il cammino dei giovanissimi livornesi Synaesthesia verso il primo vero album dopo averli scoperti con l’inserimento di un loro brano nel bellissimo progetto “Parole liberate vol.2″, in lizza per aggiudicarsi la Targa Tenco nella categoria apposita. In quella raccolta i Nostri interpretarono l’intensa “Perdonami”, nata e sviluppatasi da un testo di un detenuto, qual era nella natura appunto di un progetto musicale che vale la pena assolutamente di recuperare se non avete avuto modo di ascoltarlo sinora.
Si percepiva nei ragazzi una certa sensibilità mista a rabbia che avrebbe potuto essere davvero incanalata nel migliore dei modi, grazie al potere salvifico della musica, rock nella fattispecie, e quella intensità che traspare in “Perdonami”, nel tradurre i pensieri e il testo di Haram, non poteva certo essere estemporanea.
L’ascolto attento di “Jeremy” – questo il titolo scelto per il primo full lenght – conferma infatti appieno questa attitudine, è una caratteristica la loro che diviene precisa cifra stilistica, la cui provenienza non può che derivare da Seattle e dintorni.
Per quanto Jacopo Fusario (cantante, chitarrista e autore principale dei brani), Andrea Bellini (batteria, chitarra), Davide Tortora (basso, tastiere) e Giulio Bardi (chitarra, subentrato in corsa a Marco Trentini) siano poco più che maggiorenni, è indubbio che abbiano assimilato nel migliore dei modi la lezione del grunge (dei Pearl Jam in particolare, omaggiati non solo nel titolo del disco ma anche nell’iniziale “Better Man”, che mette subito le carte in tavola in quanto a tensione e ruvidezza), nella capacità di coniugare alla robustezza del sound una profondità emozionale che trova riscontro nelle liriche, asciutte ma di grande impatto, e soprattutto in un cantato alquanto potente ed espressivo.
È questo aspetto forse quello che risalta di più approcciandosi alla musica dei Synaesthesia, intendo proprio la maturità e lo spessore con cui si sono palesati al mondo discografico, più che la qualità degli assoli chitarristici (che pure sono ben presenti, vedi la già citata “Better Man” o il finale apocalittico di “The Effects of Sound”), la varietà compositiva nei cambi di registro della conclusiva “Disappointed Freak” o la fascinazione per certe derive psichedeliche, in una sognante “The Unease Company”, memore della lezione di Jim Morrison, tra gli idoli dichiarati, citato pure nei ringraziamenti!
Poi, ovvio, a funzionare sono in primis le canzoni, l’ispirazione che esce copiosa anche quando si tratta di rimaneggiare un mostro sacro come Piero Ciampi – col quale si avvertono affinità intellettive, al di là della medesima provenienza geografica – ed ecco allora che la poetica e inquieta “Sobborghi” acquista oltremodo pathos e vigore, senza smarrire la sua natura raffinata e intimista.
E poi, come accade in quegli album riusciti dove non sembrano avvertirsi punti deboli, ci sono quegli episodi che vanno ad alzare ulteriormente l’asticella, creando una pietra di paragone solida su cui costruire la base per un percorso che sembra promettere davvero molto bene.
In “Jeremy” questo onore ed onere spetta indubbiamente ad “Ashes”, una ballata le cui sfumature cangianti proiettano l’ascoltatore in un vortice di emozioni, grazie a una performance vocale da brividi di Jacopo Fusario che qui arriva a misurarsi col fantasma di Jeff Buckley. Tanto di cappello per un brano che, al solito, non lesina nel finale un climax ascendente di furore e drammaticità.
È quella dei Synaesthesia una proposta fresca, incisiva, dannatamente rock, che dimostra come in Italia ci sia ancora la voglia di misurarsi con questo genere che sembra in via di estinzione, almeno a livello mainstream se escludiamo quella che per molti ne è solo una parodia ben fatta (e sì, alludo chiaramente ai Maneskin, e vien da pensare che se avessero realizzato loro una “Decemption and Death”, nel cui stile la voce di Damiano David calza a pennello, questa sarebbe diventata una hit internazionale).
Poco male, l’importante è che ci sia ancora un pubblico pronto a farsi rapire e trascinare da un disco come “Jeremy”, anche se magari è lontano dai trend giovanili del momento.
D’altronde i Synaesthesia sono tutto fuorché costruiti ed effimeri, e hanno dalla loro il tempo, la passione e il talento per costruirsi una strada credibile nel panorama musicale contemporaneo, con potenzialità ancora inespresse ma ben presenti.
Il fatto poi che due dei componenti, Jacopo e Giulio, siano figli rispettivamente di Andrea Fusario e Antonio Bardi (membri fondatori dei Virginiana Miller, da cui il primo si discostò in seguito per proseguire nel progetto PASE) ne certifica il pedigree di artisti, oltre che garantire su un ottimo background, connotando il tutto di un’aura di nostalgico romanticismo.