Sono passati quattro anni da “Down in the Weeds, Where the World Once Was”, il loro ritorno dopo tanti anni nei quali tutti avevamo pensato che il progetto Bright Eyes si fosse concluso definitivamente per insindacabile decisione di Conor Oberst, invece a sorpresa erano tornati con un album bellissimo, musicalmente e liricamente intenso tra i soliti testi bellissimi di Conor e un sound ricercato e a tratti orchestrale.
L’annuncio di un nuovo lavoro a distanza di quattro anni era quindi motivo di grande attesa per vedere come i nostri eroi avrebbero portato avanti un progetto che per certi versi era apparso nuovo, entusiasmante e capace di risvegliare tutto l’entusiasmo di quelli che come me li avevano sempre amati.
I brani che avevano anticipato l’uscita di “Five Dice, All Threes” avevano dato l’idea di un album con un atteggiamento da film in presa diretta, quelli che si vedevano nei cineforum di qualche anno fa e nei quali ogni tanto compariva un microfono, sembravano voler dare l’impressione di una band che fingeva di improvvisare in modo tale da creare a tratti un suono esagerato ma “grezzo”, una sensazione che solo in parte si conferma nell’ascolto dell’intero album.
“Five Dice, All Threes” appare dal punto di vista musicale sorprendentemente allegro, in contrasto con il tenore cupo di “Down in the Weeds, Where the World Once Was”, una specie di momento festoso nel quale si invitano gli amici ad unirsi, a partire da Alex Orange Drink, frontman della punk band newyorkese The So So Glos, che partecipa come coautore in alcuni brani fino a Cat Power e Matt Berninger che lo affiancano vocalmente.
“Bells and Whistles” uscito come singolo è per certi versi sorprendente, coinvolgente cresce ascolto dopo ascolto diventando un motivo da fischiettare, mentre Conor con le sue liriche sempre affascinanti descrive momenti insignificanti o frivoli che possono però determinare un destino, concludendo con una specie di consiglio “…Gotta kick in the door when it’s locked..” e non hai la chiave aggiungo io.
L’album e’ adorabile e ci regala i Bright Eyes dei bei vecchi tempi, ora Conor Oberst ha 44 anni e non è più il ragazzo prodigio che abbiamo iniziato ad ammirare più di venti anni fa, è in una fase della vita nella quale si inizia ogni tanto a tirare fuori il metro che Renato De Maria regala a Nanni Moretti nella celebre scena di “Aprile”, si inizia a fare i conti soprattutto con il proprio destino.
In questo lavoro la sua scrittura sembra prendere spunti proprio da questo risultando concettualmente viva ed estremamente interessante, tra considerazioni taglienti e ironiche (…Someday we all die Why give into these tiny suicides?) come canta in “Tiny Suicides“, uno dei tanti momenti alti dell’album, ed espressioni di odio catartico come avviene “Hate” nel quale la sua invettiva trova il momento centrale e un bersaglio nella religione (… I hate the Puritans I hate Mary Magdalene I hate the way she washed his feet, they still called her a whore Jesus Christ, I hate you now and I hated you before …) continuando con un elenco che non risparmia nessuno.
<<Penso che la religione organizzata sia una delle cose peggiori che siano mai accadute all’umanità, e che causi un dolore incredibile..>> ha dichiarato in una recente intervista su NME, un pensiero che appare forte e paradossalmente banale allo stesso tempo, ma che è assolutamente vero anche oggi senza dover per forza guardare al passato, un elemento che spesso serve per alimentare il fuoco dell’odio e nascondere verità e giustizia, “One hand on a smoking gun and a bullet in the innocent Don’t you know the bad guys always win“.
Ottimi anche i brani in coppia, “All Threes” con Cat Power e’ eccellente e nel testo dedica anche un passaggio a Elon Musk (Jesus died in a cage fight Elon Musk In virgin whites I kill him in an alley over five dice) ed esprimendo il disgusto (condiviso) nei suoi confronti in una intervista <<Vorresti sapere cosa penso di Elon Musk?…. Beh, penso che sia uno dei più grandi pezzi di merda che abbiano mai camminato su questa fottuta terra. Penso che stia rovinando la cultura un passo alla volta. Penso che sia un megalomane.>> , mentre “The Time I Have Left” è veramente un pezzone talmente bello e così magistralmente cantato da Matt Berninger che possiamo tranquillamente perdonargli l’improvvido shalala finale.
Sarebbe il caso di spendere qualche parola per ogni brano ma mi limito a citarne solo alcuni come la convincente “El Capitan” con la sua energia da confine messicano, “Spun Out” con la coraggiosa presenza di momenti di scratching e “Trains Still Run on Time” che sembra spingersi verso territori alla Arcade Fire.
I Bright Eyes sono una grande band e mai abbastanza se ne riconosce la grandezza e hanno la capacità di apparire ogni volta così freschi da sembrare sempre ai primi album: possiamo dirlo tranquillamente sono una cult band come se ne trovano ancora poche e che forse sarà celebrata come merita solo in futuro.
“Five Dice, All Threes” è una delizia che riempie il cuore.