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Un tranquillo weekend di visita familiare a Cambridge (mia cognata, suo marito e le loro figlie ci vivono) si è rivelato come una perfetta opportunità di vivere un sabato sera immerso all’insegna del più genuino indiepop, come da troppo tempo non mi capitava. Un locale tanto semplice quanto accogliente, con una sala pub all’ingresso e una back room dedicata alla musica dal vivo, un’atmosfera rilassata e conviviale, un pubblico dall’età media abbastanza elevata, pur con alcune persone che la abbassano, e tutti questi fattori a valorizzare l’ottima musica dal vivo a cura non solo dei Chime School, alla prima tappa dell’ampio tour britannico in supporto del loro secondo disco, ma anche dai due gruppi in apertura, il duo locale The Lord Mayor’s Horticultural Society e i Garden Centre, quintetto da Brighton.

Era da prima della maledetta pandemia che non passavo una serata di questo tipo, e sono stato felicissimo di poter rinverdire gli splendidi ricordi legati a luoghi come i londinesi Shacklewell Arms, Betsey Trotwood, DIY Space, Sebright Arms, Camden Head, The Finsbury, Slaughtered Lamb, così come il Chameleon di Nottingham e il Regather di Sheffield. L’NCI Centre non ha niente da invidiare a queste altre realtà ed è stato bellissimo scoprirne un’altra dello stesso valore anche a Cambridge, città che viene facile associare solo agli altolocati membri dei college e che, invece, non manca di vitalità anche nel sottobosco musicale, come dimostra la buona presenza di pubblico stasera e il fatto che l’alldayer del prossimo 16 novembre con band del calibro di Mammoth Penguins e Fightmilk sia già sold out.

La serata è aperta, come detto, dai Lord Mayor’s Horticultural Society, che consistono in una voce maschile e una femminile che suonano rispettivamente la chitarra acustica e il violoncello. La loro proposta è decisamente morbida e l’atmosfera richiama l’idea della contemplazione bucolica, con molto disincanto e senza particolari drammi, come del resto suggerisce il nome un po’ eccentrico. I due sono di età piuttosto giovane e non appaiono esattamente animali da palcoscenico, visto che mettono in mostra soprattutto una certa timidezza. Stanno seduti sulle loro seggiole e suonano le loro canzoni delicate, con l’esecuzione, sia musicale che vocale, che spesso non scorre come dovrebbe per via dell’emozione. Tecnicamente, quindi, c’è da migliorare, ma è impossibile non empatizzare profondamente con i due e, se non si tiene conto delle incertezze esecutive, si può notare che comunque le melodie sono valide e l’espressività emotiva è buona. Venti minuti, in definitiva, molto piacevoli, soprattutto per le belle sensazioni date dal cuore che ci mettono questi ragazzi.

I Garden Centre sono un progetto certamente più completo, non solo perché si presentano in cinque, ma proprio per la consapevolezza con cui suonano e la ricchezza di idee sotto l’aspetto sonoro e armonico. Non a caso, i loro due album sono pubblicati sotto l’egida di due etichette importanti come Kanine e Specialist Subject e, per tutta la mezz’ora di set, il quintetto propone un pop colorato e cangiante, con melodie di qualità e arrangiamenti sgargianti che sfruttano le suggestioni date dalle armonie tra gli strumenti e le differenti modalità con cui essi possono essere suonati. Se, ad esempio, in una canzone è più utile che il bassista non suoni il basso ma coadiuvi il batterista, egli lo fa senza porsi problemi, e lo stesso vale quando serve che il suono viri maggiormente verso quello delle tastiere, invece che delle chitarre. Il concetto è proprio quello di un’orchestra pop, nella quale una sezione può avere la prevalenza, oppure tutti gli strumenti spingono a tutta. Il risultato è invariabilmente di buon livello, anche grazie al particolare carisma del leader Max Levy, il cui timbro nasale ben si adatta alle diverse vesti sonore indossate dalla band e la cui giovialità nei discorsi tra un brano e l’altro è decisamente contagiosa. Un live davvero ben riuscito, che certamente metterà voglia di approfondire a diversi tra i presenti che non dovessero già conoscere la band, come nel mio caso.

Passano meno di dieci minuti e i Chime School sono già sul palco carichi a mille. Normalmente, il gruppo principale ci tiene a controllare minuziosamente che sia tutto in ordine prima di iniziare, ma evidentemente il quartetto ha una voglia matta di suonare, e questa spinta propositiva non li abbandonerà mai per tutta l’ora di concerto. E certamente, non si può dire che i quattro abbiano fatto le cose con troppa fretta, perché il suono esce sempre splendidamente e tutti i pregi che hanno reso questo progetto di San Francisco tra i più stimati negli ultimi anni di indiepop emergono nitidamente dalla prima all’ultima canzone. Infatti, è un peccato che, nemmeno cercando bene in Rete, si riesca a trovare i nomi degli altri musicisti che accompagnano il leader Andy Pastalaniec, perché questa non è certo una one man band, ma tutti e quattro contribuiscono all’ottima riuscita del live non solo perché suonano bene, ma anche, e soprattutto, per l’invidiabile compattezza d’insieme che permette a ogni singolo brano di mostrare la miglior versione possibile di sé, con un suono dritto come un fuso e senza la minima smagliatura. Posso dire che i musicisti sono gli stessi presenti nelle foto promozionali, almeno da questo punto di vista tutti hanno l’esposizione che si meritano.

Entrambe le chitarre si sbizzarriscono negli arpeggi che caratterizzano il progetto anche nella versione in studio, basso e batteria forniscono una base d’appoggio solida allo scheletro delle canzoni e agli svolazzi delle sei corde e, come detto, il dinamismo chitarristico non è un vezzo fine a se stesso, ma serve per dare il giusto grado di profondità e sfumature al sound. Anche dal punto di vista vocale non è certo il solo Pastalaniec a contribuire con profitto, ma l’altro chitarrista e il bassista danno un aiuto sostanziale. Così come quando si ascoltano i loro dischi, è ovvio che dal palco i Chime School facciano venire in mente nomi tutelari come i Byrds o i Big Star o i Primal Scream di “Velocity Girl” e dintorni, ma non si può negare che, tra tutti i numerosi progetti che tengono vivo lo spirito del jangle pop, questo sia uno dei più riconoscibili in assoluto, proprio per la qualità a tutto tondo che lo caratterizza e che non si limita allo scheletro delle canzoni. Sono convinto che, se ogni parte strumentale o vocale venisse isolata, si noterebbe comunque un livello alto, e certamente sono molto poche le realtà indiepop su cui si può fare una simile affermazione.

Per quanto riguarda la setlist, essa risulta equamente divisa tra i due album, e secondo me è la scelta migliore, perché è vero che un tour dovrebbe servire per promuovere l’ultimo lavoro in ordine di tempo, ma visto che, con ogni probabilità, per tutti o quasi i presenti si tratta della prima volta in cui assistono a un concerto della band, è giusto permettere ai fan di potersi godere anche il meraviglioso esordio del 2021, che certamente è stato ascoltato molte più volte rispetto al parimenti ottimo secondo disco, visto che esso è uscito solo da poco più di un mese.

Usciamo dal locale tutti contenti, e certamente anche i quattro saranno molto soddisfatti per come è iniziato il tour. Le prossime tappe comprendono città iconiche per la musica come Londra, Manchester, Glasgow e Liverpool, ma Cambridge ha fatto egregiamente la propria parte nell’accogliere i Chime School in terra d’Albione, e il ringraziamento della band è stato indubbiamente caloroso e soddisfacente per tutti.